sabato 12 gennaio 2019

Capitolo I Pizzofalcone, il Museo della Polizia di Stato, la “polizia” napoletana Greca e Romana


Capitolo I
Pizzofalcone, il Museo della Polizia di Stato, la “polizia” napoletana Greca e Romana


Statua di Temi-dea della giustizia- presso l’ Università di Chuo in Giappone

È noto che coloni greci si insediarono dapprima nell'isola di Ischia (IX secolo a.C.),  per trasferirsi poi a Cuma e, solo nel VI secolo a.C., fondarono la città di Partenope sull'isola di Megaride (ove ora sorge il Castel dell’Ovo) . Data la posizione geografica invidiabile nel mare nostrum, era più che altro di uno scalo commerciale per mantenere i contatti con la madre patria, che, in un secondo momento, si espanse sul vicino Monte Echia (Pizzofalcone), assumendo la struttura di un piccolo centro urbano.
E possiamo dire che proprio in Pizzofalcone nasce, dunque, il vero primo insediamento “occidentale” di Napoli –tante saranno le civiltà anche preistoriche, per non parlare dei Sanniti, etc.- 
Nota anche col nome di Monte di Dio, fa parte del quartiere San Ferdinando, situata fra il borgo Santa Lucia, il Chiatamone e Chiaia. Prima fuori dall’urbe partenopea, e sede di parte del Castrum Lucullianum, poi convento dei monaci basiliani, deve il suo nome alla caccia al falcone, che si iniziò a tenere proprio su questa collina nel secondo lustro del Duecento. Fu il Carlo I d'Angiò che decise di praticare in questa zona - quando la collina non faceva parte del tessuto urbano-  la caccia al falcone,  facendovi costruire una falconiera per la real caccia di falconi.
Nel 1442 la zona Pizzofalcone era fuori le mura cittadine e Napoli fu assediata da Alfonso V d'Aragona. Data l’asprosità della zona fu costruito un bastione per supportare gli attacchi, che prese il nome di Fortelicio di Pizzofalcone, poi rimasto a protezione della città.
Nel 1509 la falconeria fu in parte abbattuta ed il territorio iniziò ad urbanizzarsi, quando Andrea Carafa della Spina, conte di Santa Severina, acquistò alcuni terreni del monastero dei Santi Pietro e Sebastiano per edificarvi la propria villa. Al viceré Don Pedro de Toledo si deve l'ampliamento cinquecentesco che, per la prima volta, inglobò all'interno delle mura il monte Echia, ancora in epoca aragonese fortezza militare siti Perillos, propaggine esterna della città.
Il posto di caccia voluto da Carlo I d'Angiò fu demolito definitivamente per far posto a un carcere, che fu poi convertito in stabilimento militare. Nel 1651 il viceré Conte d'Oñate ordinò che vi si stanziassero le truppe spagnole fino ad allora alloggiati nella zona a ridosso di via Toledo nei quartieri spagnoli. Inizialmente i soldati vennero suddivisi tra Palazzo Carafa ed i suoi giardini.
Solo tra il 1667 e il 1670 il viceré Pedro Antonio di Aragona fece costruire, sulla superficie precedentemente occupata dai giardini, il Gran Quartiere di Pizzofalcone, così da permettere un migliore sistemazione della guarnigione spagnola. che nel XIX secolo era occupato dai Granatieri della Guardia Reale. Nella stessa area insisteva il Reale officio topografico, in cui venivano redatte le carte topografiche, geografiche e idrografiche del Regno delle Due Sicilie. L'edificio era provvisto di una specola per le osservazioni astronomiche in funzione delle rilevazioni geodetiche.
Tale zona, detta  Gran Quartiere di Pizzofalcone o Presidio di Pizzofalcone, oggi si chiama  caserma Nino Bixio è un edificio militare sito a Napoli, all'apice di via Monte di Dio, sulla collina di Pizzofalcone, nel quartiere San Ferdinando. Oggi esso è sede del IV Reparto Mobile di Napoli.
L'edificio, infatti, non ha mai variato la propria destinazione d'uso di carattere militare. Dopo avere ospitato per secoli reparti della guarnigione dell'Armata napoletana e la Real Accademia Militare della Nunziatella, costituita il 18 novembre 1787, subito dopo l'Unità d'Italia ospitò il 1º Reggimento bersaglieri "Napoli". Contestualmente fu dedicato a Nino Bixio. Dopo la seconda guerra mondiale divenne caserma della Polizia di Stato, adibita ad ospitare il IX Reparto mobile di Napoli, dal 1971 denominato IV Reparto Celere delle guardie di pubblica sicurezza fino a diventare il IV Reparto mobile della Polizia di Stato di Napoli.


Inaugurazione del museo, 22 giugno 2015

Il Reparto Mobile di Napoli è sede anche del Museo della Memoria della Polizia di Stato, alloggiato presso l’ Aula Claudio Graziosi.
Inaugurato il 22 luglio del 2015, in seno alla sezione napoletana dell’ Anps, diretta dal Presidente Commissario r.d.s. in quiescenza Luigi Gallo.
Essa avrà la funzione di manutenzione, custodia e gestione di un piccolo museo della Polizia di Stato, ove saranno esposti mezzi e strumenti utilizzati in passato dalla forza di polizia nonché una collezione privata ad opera del Collaboratore Tecnico Capo della P.S. Marinaro Ezio, con modelli in scala degli automezzi in uso alla polizia a partire dal ‘900 e sino ai giorni nostri.
L’ubicazione sarà l’Aula Graziosi, intitolata  alla guardia di P.S. Claudio Grazioli, insignito della medaglia d’oro al valor civile, il quale il 27 marzo del 1977 perdeva la vita eroicamente perché, fuori dal servizio, aveva riconosciuto e bloccato su di un autobus la terrorista Maria Pia Vianale. La predetta aula già nel ’91 fu destinata a sala lettura, divenendo idoneo spazio di studio presso il Reparto per il personale ivi alloggiato. Successivamente utilizzata per cerimonie e riunioni a carattere istituzionale.
Il museo fonda la sua ragion d’essere sul senso di appartenenza, sullo spirito di gruppo e sulla memoria, tre pilastri su cui poggia.
Quale delegato responsabile del Gruppo è stato proposto il Maresciallo della Polizia di Stato in quiescenza Pisacane Francesco, Cavaliere della Repubblica, membro più anziano del Reparto (nella foto)  e con un indiscusso valore carismatico e di rappresentanza di generazioni di poliziotti avvicendati in tale sede.
Attraverso il museo della memoria della Polizia di Stato vuole perseguirsi lo scopo di realizzare a pieno gli obbiettivi fondanti dell’Anps, ossia custodire la memoria del passato attraverso immagini attuali e foto d’epoca, in modo da trasmettere alle future generazioni, attraverso un percorso storico, i valori fondanti della Polizia di Stato.


Sovrintendente capo Francesco Pisacane, “il maresciallo Pisacane”, delegato dall’Anps Napoli come responsabile del museo. È il membro più anziano della associazione


Vero è che il museo raccoglie e conserva  cimeli e riproduzioni riguardanti la Polizia di Stato dalla sua fondazione, ossia con R.D. 30 del 1848, seguito dal 1404 del 1852, istitutivi il primo della Amministrazione di Sicurezza, il secondo del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, corpi nati dunque nel savoiardo Regno di Sardegna ma poi, a seguito del 1960-1961 estesi gradualmente a tutta l’Italia. Parleremo di questo nel presente opuscolo, costernandolo, ove possibile, con efficaci immagini.
Purtuttavia una premessa non troppo corposa va fatta, ed è uno dei motivi della redazione del presente scritto, analizzare, seppur sommariamente, la situazione della polizia a Napoli in epoca preunitaria, dalla preistoria ai greco-romani, al ducato di Napoli, al dominio Angioino, Aragonese, Borbonico, alla pausa Francese, al ritorno breve Borbonico sino all’Unità Nazionale.
Durante l’epoca Greca, che affonda nella notte dei tempi con figure leggendarie quali il mito della sirena Partenope, sappiamo che intorno al XII secolo i primi coloni si insediano ad Ischia e quasi contemporaneamente a Cuma.  Come era amministrata la “polizia” all’epoca, vale a dire in età preistorica o quando comunque la vita era scandita da ritmi tribali. La curiosità è che la attività di polizia era strettamente legata alla medicina e dunque il “capo della polizia”non era il capo del villaggio, che aveva sotto di sé l’esercito, ma lo sciamano che curava. E non vi era una netta separazione tra malattia e crimine, tra malanno e colpa. Era lo sciamano che aveva il compito di restaurare l’ordine in una società, in una comunità, quando esso si infrangeva e non poteva no farlo che con la ritualità. Ricordiamo che anche in epoca Greco-Romana era usanza dei cavalieri, prima di affrontare un combattimento, rivolgersi ai saceerdoti. Sempre era ed è presente un ordine sacro che non può infrangersi, un sacro equilibrio tra le cose e chi esce fuori da questo equilibrio deve ritornare all’armonia per sé, per la comunità, per il cosmo. Diremmo noi, oggi, va rieducato.
Nel 476 a. C. la Grecia inizia ad insediarsi a Cuma, conquistatala si insediano più ad oriente della vecchia Partenope e chiamano la loro citta “nuova città”, Neapolis appunto. I primi rapporti tra Roma e Neapolis furono improntati all'amicizia e al tentativo di stipulare accordi, ma, sotto le pressioni delle altre colonie, Neapolis fu poi spinta a rifiutare collaborazioni coi romani; questo portò nel 326 a.C. ad un conflitto armato che, nonostante l'alleanza dei partenopei con sanniti e nolani, si concluse con la vittoria del console romano.
La pace non fu tuttavia disonorevole: fu creata una confederazione con Roma, e la città poté mantenere le proprie prerogative e istituzioni, rivelandosi nel seguito una fedele alleata del sempre più potente vicino.
Del resto, Neapolis era per Roma un importante veicolo della cultura e della civiltà greca, un vero e proprio punto di raccordo, oltre che una serena zona di villeggiatura per i patrizi, vi sostava Virgilio, vi morì Ottaviano, primo imperatore Romano, fu costruita Puteoli- Pompei, Ercolano, lo splendido Castrum Lucullianum  che si  estendeva da Pozzuoli a Megarite, la villa a Giugliano di Scipione l’Africano, la residenza dove alloggiava Tiberio a Capri e via discorrendo(ove si dice fosse stato assassinato Romolo Augustolo, ultimo imperatore Romano).  
Quale giustizia in quel periodo e quale “polizia”. Abbiamo accennato di civiltà preistoriche, italioti, altri indigeni, Sanniti, ove la figura del sacerdote era centrale –e stesso può dirsi per l’epoca Romana, sia in età arcaica delle XII legge e sia in età Repubblicana, essendo i magistrati di quest’ultima cos’altro se non sacerdoti potremmo dire “civili” ad ognuno dei quali spetta una funzione di governo-. Venendo ai Greci sappiamo che sin da prima che esistesse uno Stato organizzato si seguivano riti similtribali detti della “cultura omerica”[1]che si basava sulla timé, ossia sull’onore e prevedeva la “cultura della vergogna”, non essendovi punizioni per le regole c’era questo shame forse meglio traducibile con guilt, ovverossia  colpa. Non esistono regole, che le viola rompe il patto sociale e la sua colpa è grande e sentita perché, giova rifletterci, gravi e sentiti sono i valori violati. Tali culture sono molto sviluppate nelle piccole tribù che si fondano sul rispetto reciproco e sulla stima, come una sorta di associazioni o club, ove scopo del malfattore di turno non è farla franca ma vergognarsi, sentirsi in colpa. Tipico anche delle culture Longobarde e Normanne per certi versi. La violazione di una norma era, potremmo sottolineare, violazione verso l’altro, verso la comunità ma soprattutto verso il cosmo, l’armonia ed il suo ordine. Non esisteva un foro interno. Il reo era reo e si sentiva in colpa per essere reo, non vi era dunque necessità di indagini giudiziario-poliziesche perché lui stesso confessava un peso insopprimibile. Il concetto di pena[2] nasce dall’altro aspetto del diritto omerico, la vendetta, anche questa diffusa nei citati popoli nordici, essa autorizzava chi era vittima di vergogna e non era vinto dalla colpa, cioè in caso di insensibilità –non infrequente- alla vendetta, che spesso consisteva nell’assassinio di chi aveva ricoperto di vergogna. Il ritorno di Ulisse ad Itaca ne è un esempio. Tale assassinio col tempo viene sostituito da una somma di danaro la poiné, in italiano “pena”. Ciò comporta anche la nascita di un processo, giudicato dagli anziani del villaggio, i gerontes[3]che emetteva una sentenza dikazon. Diritto vero e proprio in Grecia si sviluppa dopo le leggi di Dracone e si struttura in maniera organica, un diritto composito che ispirerà ma solo in linee generali anche i Romani, che si impadroniranno della zona napoletana definitivamente dopo le guerre puniche, grazie ad un coeso ed efficace sistema di alleanze. 
In epoca Romana sarà con Silla, nel 90 a.C. che la cittadinanza dell’Urbe sarà estesa su tutta la penisola. Precedentemente Roma si alleava con i vicini latini in una foedus e, successivamente, fuori dal territorio laziale, nacquero i Municipia, che detenevano la cittadinanza romana se appartenenti a municipes optimo iure, se invece municipes sine suffragium et iure honorum-, solo la cittadinanza, senza elettorato attivo o passivo e con una leggera autonomia amministrativa, vi erano infine i piccoli centri, le coloniae, istituiti con riti augurali[4]. In Napoli e provincia esistevano gli uni e gli altri.
Con l’avvento del principato si mantenne il sistema ma i municipia italici, che, a differenza delle province che si trovavano fuori la penisola, avevano ampia autonomia amministrativa. In principio[5] ciascun centro era una sorta di città stato era governato da magistrati cittadini duoviri o quattroviri, a seconda del numero, che eseguivano i decreta ordinis, ossia i deliberati dell’ordo decurionum.
Il sistema si complicò con la divisione dell’Italia in quattro Regioni ad opera di Augusto che favorì fenomeni devolutivi nella penisola.  Pur essendo[6] l’esercizio della giurisdizione civile e penale, e dunque anche le funzioni di polizia, demandate, entro certi limiti, agli amministratori locali nascono nuove figure regionale: il prefectus urbi ed il prefectus praetorio per la giurisdizione criminale, si aggiungono i curatores rei publicae, poi detti correctores, per il controllo tributario locale. [7]
Di queste figure, che ritorneranno in epoca postromana torneremo essendo punto focale di questo scritto il ruolo importantissimo svolto da funzionari e da loro attendenti nei rapporti centro-provincia per l’ordine pubblico.
Sempre sotto il dominio Romano si moltiplicarono i curatores vialis, addetti alla viabilità, una sorta di polizia stradale antelitteram, e ciò non stupisce data l’alta viabilità anche notturna per le vie Romane e quindi necessità di controllo non solo della corretta circolazione ma anche di prevenire ruberie con l’ausilio di fanti. Interessante a tal proposito è notare che proprio a Roma nasce la prima polizia in senso moderno, il corpo dei vigiles istituito nel 6 d.C. da Augusto, ma solo per la città di Roma, per assicurare la vigilanza notturna delle strade-affollatissime anche perché la posta viaggiava nottetempo e proteggere la città dagli incendi frequentissimi nelle insulae (condomini in legno). Sotto Settimio Severo vennero integrati nell'esercito,  7 coorti miliari, vale a dire 7000 uomini, militarizzate anch'esse e formate per lo più da liberticui. Il loro motto era Ubi dolor ibi vigiles (Dove c'è il dolore ci sono i vigili). Gerarchicamente comandati dal praefectus vigilum affiancato da un tribuno e sette centurioni per singola coorte.



[1] L’Antichità Vol IV; a cura di Umberto Eco, AAVV; EM Publischers s.r.l. Milano per Gruppo Editoriale l’Espresso; 2013; pp.364-365
[2] Ivi pag. 368
[3] Ivi pag.369
[4] Storia del Diritto Romano; a cura di Aldo Schiavone AAVV; Giappichelli editore; Torino;2001; pp. 57-58
[5] Ivi pag.108
[6] Ivi, pag. 109
[7] Ibidem

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