Gendarmeria reale a piedi
Nel 1736 sale al trono di Napoli Re Carolo, primo della
dinastia dei Borbone a governare sul Regno, ed il governo borbonico durerà sino
alla Unità d’Italia, salvo la breve parentesi del dominio francese-napoleonico,
tra il 1806 ed il 1815, che non pochi contributi diede ala organizzazione della
polizia a Napoli e nelle province.
Nel settecento iniziano i fermenti illuministi, anche nella
nostra città, e proprio in questo secolo, in cui nel Granducato di Toscana è
concessa la Leopolda, primo codice in vigore che trattava in maniera più umana
il reo e che aveva come fine la rieducazione di esso, normativa che fu
influenzata senz’altro dall’opera di Cesare Beccaria “dei Delitti e delle Pene”
ove per prima si teorizzava, tra l’altro, l’abolizione della tortura come
strumento di ricerca della verità, l’abolizione della pena capitale e lo scopo
rieducativo della pena.
Per quanto attiene la polizia borbonica iniziarono le prime
ravvisaglie di una sua risistematizzazione, riordino. Due erano i modelli,
quello tedesco della Polizei che
rinviava più che ad una attività fondamentale dello Stato stesso ad una
modalità di rapporto Stato-cittadino, senza conflitti tra polizia ed organi
giudicanti[1].
In Francia la situazione era differente, essa era caratterizzata da un apparato
metropolitano “civile” retto dal potente lieutenant
il luogotenente progressivamente autonomo e spesso in conflitto col potere
giudiziario. Per il controllo delle campagne e delle grandi strade del regno vi
era invece il Maréchaussée, affiancato
dai suoi prévots, che amministrava
una giustizia penale di eccezione[2].
Il modello francese sarà senza dubbio quello preferito anche
nel Regno borbonico e in quello sabaudo e poi in Italia. Ferdinando e Maria
Carolina vareranno una importante riforma della polizia, date le complessità
investigative ammodernate con i recenti mezzi scientifici e con nuove
attrezzature di rilievo, schedatura e di
assalto, nonché da una fitta rete di spie, tanto che il lavoro della polizia,
almeno per la città, fu lentamente organizzato per settori tematici e non
diviso in quartieri mentre nella provincia, sino almeno alle riforme del
periodo francese, il sistema restava immutato[3].
Nel 1779 una riforma sottrasse il controllo della polizia
napoletana al reggente della Vicaria- capitano di giustizia- e affidò ciascuno
dei dodici quartieri cui la città era divisa ad un giudice commissario,
sottoposto ad obbligo di rapporto e responsabile delle ronde notturne[4].
Una riforma della polizia nelle province nasce dal duca D’Ascoli
in Puglia nel 1801 ed estesa nel 1803 a tutto il Regno. Essa si ispirava
probabilmente all’idea del Galanti[5],
fu la suddivisione del territorio in
Dipartimenti, soppresso ogni privilegio istruttorio di foro, un commissario
avrebbe dovuto procedere alla raccolta delle prove ed al trasferimento
dell’imputato al tribunale competente[6].
Tuttavia tale sistema trovò numerosi ostacoli, soprattutto
per quanto riguarda i costi della forza lavoro e degli uomini in arme. Il
sovrano stabilì allora che vi fossero corti regie di due armigeri per migliaio
di abitanti, sia nel caso del Fisco, sia
nei terreni demaniali il governatore da cui dipendeva il barone. Nel caso non
si riuscisse a sostenere tale cifra, o lo richiedessero esigenze d’ordine,
oltre ai due armigeri per migliaio di abitanti le corti avrebbero dovuto
nominare bargelli tra gli uomini più probi e virtuosi dei villaggi[7].
Dopo il 1799, dunque, il Tribunale di polizia riprese le sue
funzioni, prima nella sola capitale, poi dal 1803 concatenata ai Presidi.
Governatori locali e Presidi continuavano a svolgere funzioni di polizia; nel
1806 veniva istituito il Ministero di Polizia generale, che aveva alle sue
dipendenze i Commissari, uno per la città di Napoli uno in ciascuna provincia.
C’era poi la figura del commissariato generale col compito di sovrintendere
alle carceri[8]. I
commissari dei quartier avevano potere di polizia giudiziaria limitatamente ai
reati a cui pena non eccedesse gli otto giorni di detenzione o i dodici carlini
di multa; se la pena era maggiore la loro funzione di polizia era limitata alla
formazione del processo verbale ed il tutto era poi trasmesso, con l’imputato,
al tribunale competente[9].
L’Intendente
La Polizia in buona sostanza, a Napoli era comandata da un
prefetto di polizia, mentre in ogni quartiere della città come anche alle
prigioni, alla borsa di commercio e alle barriere vi era un commissario, alle
cui dipendenze agivano ispettori, cancellieri e vice cancellieri. Nelle
province la direzione della Polizia era affidata agli intendenti, che si
avvalevano di ispettori e commissari nonché dei giudici regi (nei comuni ove
non risiedeva un ispettore) e dei sindaci (nei comuni privi di ispettori o
giudici).
Altra figura presente nelle province quella dei “giudici di
Pace, istituiti nel 1808, figura a metà tra il giudice e il funzionario,
rappresentava una magistratura popolare, strumento di concordia sociale e
pacificazione giudiziaria, ma anche vero e proprio presidio giurisdizionale sul
territorio.
Coadiuvato prima da due assessori e poi da un cancelliere,
le sue competenze civili e penali erano molteplici ed erano esercitate sul
posto, negli uffici del tribunale di ciascun circondario di distretto, e in
itinere nei comuni del circondario. Esso giudicava sulle azioni civili
inappellabilmente fino a 20 ducati e, con appello, fino a 200. Nelle materie di
polizia, di cui aveva cognizione, applicava la detenzione fino a giorni 5 o
multa estensibile a ducati 6, e nella materie correzionali la prigionia per giorni
10 e la multa in ducati 20, dando voto soltanto consultivo nei reati punibili
con pena maggiore. Avendo anche funzioni di «uffiziale della polizia
giudiziaria» poteva ricercare qualunque delitto pubblico, ricevere accuse e
denunzie, arrestare i delinquenti colti in totale o quasi flagranza[10].
La costituzione delle Guardie Nazionali, risale invece al
1806, voluta dalla borghesia napoletana per soffocare la reazione borbonica dei
lazzari contro il sistema napoleonico. Già dalla nascita e conoscendo la storia
del ‘799 napoletano sappiamo che trattasi di un corpo d’élite. Ferdinando II le
dette nel 1833 un nuovo ordinamento, consentendo l'arruolamento agli uomini dai
21 ai 50 anni che però, data la costituzione in epoca repubblicana, fossero di
comprovata fede monarchica. Essi a
seguito della unità d’Italia confluirà di lì a poco nella Corpo delle Guardie
di Pubblica Sicurezza.
Altre forze di polizia borbonica da menzionare sono polizia
la gendarmeria, cui erano affiancate le compagnie di uomini d’arme, antica
istituzione di origine medievale, di cui abbiamo avuto largo modo di parlare,
riordinata nel 1833 e nel 1834, ai fini del mantenimento dell’ordine pubblico,
della vigilanza sulla pubblica sicurezza.
[1] Il
Processo Penale, profilo storico; Giorgia Alessi; Laterza 2001; pag.134
[2] ibidem
[3] Ivi pag.
136
[4] ibidem
[5]
Giustizia e Politica nel Mezzogiorno, 1799-1825; Armando De Martino;
Giappichelli; pag. 70
[6] ibidem
[7] Ivi pag.
76
[8] Ivi pag.
170
[9] ibidem
[10] Ivi
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