sabato 12 gennaio 2019

Capitolo II La “polizia” dopo la caduta dell’impero romano d’occidente: Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi




In più interviste Umberto Eco affermava che il medioevo non è un contenitore omogeneo, una scatola contenente principi e valori unitari, uniformi, rigidi. Ciò vale in genere per le categorizzazioni storiche, ma ancor di più per il medioevo che dura ben mille anni, anni in cui, certo, non sono avvenute sempre le stesse cose né i valori sono rimasti congelati.
Nel 476 d.C. cadde l’impero Romano d’Occidente ed abbiamo accennato che, secondo la leggenda, le spoglie di Romolo Augustolo, ultimo imperatore si trovano proprio in Napoli, presso l’isolotto di Megaride,  ove ora sorge il Castel dell’Ovo.
Nel 536 l’Imperatore d’Oriente Giustiniano inviò Belisario per conquistare Napoli, che si difese strenuamente, i Bizantini subirono dapprima la perdita della città nel 542, che fu invasa dai Goti , ma se ne reimpossessò nel 533, i bizantini dovettero respingere nemici valorosi, organizzati e che dominavano o domineranno quasi tutta la penisola, i Longobardi, i Vandali. L’eroica lotta fu soprattutto opera dei cittadini napoletani, che del sostegno dei bizantini. Fioccavano leggende, che il popolo napoletano avesse ereditato la tramontata potenza di Roma a causa delle spoglie di Romolo Augustolo che custodiva. Si arrivò, addirittura nel 615, ad una pretesa di indipendenza,  alla ricostituzione di una città stato come in epoca romana, tanto che, l'imperatore d'oriente nel 661 accolse le istanze dei napoletani, nominando un duca napoletano a capo della città tale: Basilio.
Si ripropose il modello Romano, tutto cambiò e restò uguale,  pur dipendendo formalmente da Bisanzio, la città dispose di un governo proprio, che fu dapprima nominato dai bizantini, poi divenne elettivo, e infine ereditario.
In buona sostanza Napoli fu una vera e propria eccezione per la penisola e per il mondo, una grande città stato estranea alle barbariche lotte di conquista che infestavano il resto della nostra penisola. E venendo alla “polizia” si sussurra che la situazione fosse serena, quasi pacifica ed il lavoro dei magistrati cittadini ed indipendenti limitato al limite. L’ordine pubblico regnava leggendariamente sotto l’ordine delle spoglie dell’ultimo imperatore Romano. L’indipendenza durò sino al 1137, periodo di intense e feroci lotte in Italia da parte dei barbari, ma a Napoli la situazione fu tutto sommato tranquilla. Aspre lotte in cui Napoli fu tutto sommato una delle poche isole di civiltà rimaste nella penisola ormai soggiogata dalle popolazioni barbare.
Ciononostante, nonostante il periodo di città stato bizantina, cosiddetto periodo Ducale, governato da un “Catapano”[1]( o Catepano  κατά + ἐπάνος  ossia "colui che sta al di sopra", deriva anche dal persiano kadbān, che indica il capo di una famiglia e ciò desta in me poco stupore dati i contatti con i Saraceni in Sicilia e con i Persiani altrove dei bizantini) Napoli si trovò spesso contrapposta ai Longobardi ed ai Saraceni, e per questo ricorse a volte al supporto di altre popolazioni, chiamate in forma mercenaria ad aiutare le difese napoletane.
 Fu il caso dei Normanni, a cui fu concesso il feudo di Aversa –Castel Capuonarolo-in cambio della resistenza alle mire espansionistiche di Benevento  (longobarda). Ma questi, sotto la dinastia degli Altavilla, non si accontentarono del feudo e, dopo una serie di battaglie, nel 1137 Sergio occupò Napoli, cui fece seguito Ruggero detto appunto il Normanno, che tuttavia alloggiò a Palermo dando una certa libertà governativa a Napoli, seguì  Guglielmo il “Malo”-, cui si deve la costruzione di Castel Capuano[2], che prese a residenza, Guglielmo il Buono, entrambi ottimi governatori e diplomatici con le terre vicine.
Fatta questa debita premessa, non dobbiamo pensare che nel medioevo vi fosse una netta distinzione tra crimines e peccato, anzi erano sinonimi.
 Vigeva il particolarismo giuridico sia personale (in base allo status-nobile, cavaliere-) sia oggettivo, riguardo cioè i territori[3], in buona sostanza esistevano normative differenti-particolari- a seconda se si era di una estrazione sociale o meno, oppure a seconda se si appartenesse ad un foedus o meno. A complicare tutto ci si metteva la complessità di questa normativa di questo “Diritto Comune”, caratterizzato da una pluralità di fonti incentrate sul diritto Romano e su quello Canonico, unitariamente ai pareri ed ai digesti dei giuristi, ossia alla dottrina; una vera e propria distinzione tra ius commune ed iura propria[4] . Ed anche i feudi complicavano la stratificazione delle fonti: normativa del principe (o del governo centrale), normativa del signore feudale, normativa del Comune locale, diritto comune (Romano-Canonico-Dottrinario)[5]. In periodo Normanno nel Regno di Napoli era il Papa che istituiva il Regno di Sicilia ed il Re, vassallo del Papa ma sovrano del regno –rex in regno suo est imperator – cerca già dall’epoca di Ruggero II una autonomia[6]. Non solo, nei territori si hanno due possibilità di governo: i feudi, dipendenti dal Re o da autorità diverse, il cui organo di governo erano le università –e tali feudi verranno dette università, e città demaniali, indipendenti dalla Corona[7]  
Il principio punitivo era dettato dai Penitenziali, opere nelle quali venivano catalogate le singole colpe-peccati-crimini con le rispettive pene., Se prima colui che giudicava ed applicava la pena era il vescovo, il compito passò subito ai singoli parroci, veri e propri direttori di anime per l'amministrazione del sacramento della penitenza. Il loro ruolo era quello di evitare la arbitrarietà di giudizio da parte del sacerdote, catalogando in elenchi le principali colpe con le rispettive pene private, quali erano fissate da sinodi o da singoli individui, come i confessori più noti per santità e prudenza, di cui si raccoglievano i dicta iudicia. L'uso dei libri penitenziali cominciò a scemare dopo l’anno mille, quando, con l'elaborazione della teologia sacramentale, la penitenza o soddisfazione, perdendo il carattere penale di riparazione sociale, non conservò che il suo carattere espiatorio e sacramentale, mitigandosi in forme sempre più leggiere, sino a semplici preghiere o ad acquisti d'indulgenze e l'imposizione della penitenza è lasciata al prudente arbitrio del confessore. Il loro valore è di non poco conto perché , oltre all’influenzare e sviluppare il diritto penale canonico, rivestirono una grande importanza anche rispetto alla formazione del diritto penale secolare, nonché alla difesa e al perfezionamento degli ordinamenti sociali, che concorrevano a tutelare.
Omicidio –con pene diverse a seconda del grado di parentela e del rapporto con la persona uccisa-, i peccati carnali, sessuali e di gola, la magia, le mancanze nei confronti della carità, il furto l’intemperanza, l’empietà, era la gerarchia di peccati sanzionati, la pena: vita monastica, peregrinaggi astinenze anche gravose[8]. Il più noto era il Decretum del famoso giurista Burcardo. Altre ragioni della loro scomparsa furono, paradossalmente, l'adattamento agli usi della giustizia secolare presso i popoli barbarici, basati sul sistema del riscatto del delitto mediante la Wergeld, ossia la composizione legale, introducendo un sistema di penitenza tariffata, che i libri penitenziali valsero a diffondere.  Sistema che, fino al XIII secolo si baserà sull’ordalia, la vendetta privata, il duello giudiziario-possibili per diversi crimines, come il furto etc. e soggetto a regole stringenti e precise.
I Normanni, a Napoli e nelle zone circostanti furono all’avanguardia rispetto ad altre popolazioni, come ad esempio i Longobardi, ancora basati sul sistema della guilt ovverosia la colpa, da cui nasceva la lotta e la vendetta tra clan e famiglie. Anche le altre popolazione barbariche si evolsero con l’utilizzo del diritto Romano dopo le codificazioni  Giustinianee ma Napoli ed il sud Italia, sotto dominio -seppur indiretto come a Napoli- ereditarono le magistrature, o meglio alcune magistrature in uso nell’Impero Romano d’Oriente. Non è un caso che il primo duca-catapano si chiamasse proprio Basilio, dal greco basìleios cioè signore o meglio “regale”, termine che rende meglio e con il quale ci si riferisce alle doti di un sovrano, di un signore, ai suoi valori- come oggi si dice “è un gran signore”-.
Le magistrature, vale a dire i funzionari, detti “giudici”, erano  magistrati cittadini, i quali collaboravano con differenti figure subalterne cui tra poco ci soffermeremo.
Giova ricordare che la conquista normanna in Sicilia non aveva avuto come immediata conseguenza l'imposizione di una giurisdizione unitaria. Con le Assise di Ariano, infatti, Ruggero il Normanno lasciava il diritto stratificato e vario dei differenti gruppi etnici, tante fonti e tante giurisdizioni. Tuttavia a poco a poco si stratificò un livello più alto di giustizia, meglio di amministrazione della giustizia, accanto alla giurisdizione civile e penale “minore” concessa alle universitates e basata su usi locali, consuetudini, privilegi regi e specifici concessioni date dal Re ai singoli feudatari, se ne affiancò una potremmo dire più incisiva e di maggiore importanza, quella del sovrano attraverso i suoi giudici cittadini.
Con la costituzione del Regnum Siciliae, del 1130, prendeva forma il disegno di un ordo iudiciarius uniforme, anche per influenza del progressivo recupero della normativa romano-giustinianea, tecnicamente prevalente oltre che bagaglio culturale di larga parte dei collaboratori del sovrano anche e soprattutto grazie alla posizione del Regno.
Elementi portanti della amministrazione di giustizia erano i baiuli, magistrati regi operanti a livello cittadino, mentre gli stratigoti –a Napoli prendevano il nome di compalati- ed i vicecomiti, giudici locali di tradizione bizantina, limitarono molto il loro ruolo nelle città. Giurisdizione provinciale avevano invece giustizieri e camerari. Queste le figure cardine anche dopo le riforme di Federico II di Svevia che, alla morte di Tancredi nel 1194 e dopo tre anni di dominio del sovrano tedesco Enrico VI, lo “Stupor Mundi”  ascese al trono di Sicilia. Cerchiamo di analizzarle seppur sommariamente, come si confà a questo opuscoletto. Giova ricordare, tuttavia, che complice la nascita del Pubblico Studio Napoletano (oggi Università degli studi Federico II) a Napoli, tali funzionari dovevano essere esperti nel diritto nonché fedeli alla Corona. Per la descrizione di questi funzionari dobbiamo ringraziare la Treccani online “Federiciana” e tutti i collaboratori[9]
Iniziamo con lo Stratigoto (stratigotus)[10], magistrato cittadino dotata di competenze giudiziarie, era un ufficiale attivo soltanto in alcuni centri urbani, fra i quali Messina, Napoli e Salerno .
Presente già in età normanna,  evidente è la derivazione onomastica bizantina, compare come ufficiale cittadino durante la minore età di Federico II: è attestato a Messina, in Calabria (a S. Caterina) e ad Amalfi, ove probabilmente ha funzioni territoriali più estese, in quanto è denominato straticotus de toto ducato Amalfie.
La particolarità di questo ufficiale, il cui corrispettivo è da rintracciarsi nel compalatius napoletano[11], consiste nell'ampiezza delle sue attribuzioni nell'ambito dell'amministrazione della giustizia in sede locale. Lo stratigotus, infatti, amministrava la giustizia anche in ambito penale e accoglieva pure le istanze di appello sia in sede civile che penale, a differenza degli ufficiali cittadini ordinari ‒ i baiuli ‒ ai quali spettava solo la cognizione delle cause civili nel primo grado di giudizio. Altra differenza sostanziale rispetto ai baiuli risiedeva nel fatto che dalle competenze dello stratigotus erano totalmente esclusi la materia fiscale e l'ambito amministrativo.
L'assimilazione dello stratigotus con il compalatius è esplicitamente affermata anche nella normativa regia,  in cui il sovrano attribuisce ai compalatii di Napoli e agli stratigoti di Messina e Salerno la prerogativa di amministrare anche la giustizia penale, mantenendo intatto un uso già consolidatosi de speciali et antiqua prerogativa. Non mancano nella documentazione le testimonianze di conflitti di competenza fra lo stratigotus e le altre istituzioni giudiziarie con competenze sul medesimo ambito territoriale. Si prendano come esempi emblematici due mandati del sovrano, entrambi indirizzati al secreto di Messina: uno del 1239 nel quale si evidenziava che lo stratigotus della città usurpava la giurisdizione del giustiziere nella riscossione della pena prevista in caso di omicidio senza colpevole e s'intimava al secreto di rimediare a questo sconfinamento di competenze); il secondo, indirizzato oltre che al secreto anche allo stesso stratigotus, nel quale il sovrano precisava le competenze dell'ufficiale in una inchiesta su alcuni genovesi che a Messina avevano assaltato cittadini di Savona, stabilendo che la stessa inquisitio così come la cattura e la punizione dei colpevoli rientravano nelle competenze dello stratigotus e non in quelle del secreto.
A Napoli lo stratigotus messinese, salernitano ed amalfitano prendeva il nome di compalatius[12]. Magistrato essenzialmente giudiziaria con competenza sulle cause civili e penali, per il primo grado di giudizio, l'ufficio del compalatius riguardava esclusivamente la città di Napoli. Rappresentava una particolarità rispetto alla magistratura cittadina ordinaria del baiulus operante in tutte le altre città del Regno, l’imperatore, infatti,  dopo aver dettato alcune norme circa la ridefinizione dell'ufficio di baiulo, stabiliva quasi a continuazione che per le magistrature omologhe ‒ il compalatius di Napoli, appunto, e gli stratigoti di Messina e Salerno ‒ rimanessero in vigore le antiche prerogative che attribuivano loro la cognizione delle cause penali, escluse dalle competenze ordinarie dei baiuli.
Il compalatius, come il baiulo, prendeva l'ufficio in gabella: nel 1231, l'ufficio era stato appaltato per 70 onze annue. Come ufficiale regio in sede locale, il compalatius poteva svolgere occasionalmente incarichi relativi ad altri settori di interesse dalla Curia regia, e per conto del sovrano stesso, incarichi che nulla avevano a che fare con le funzioni proprie della sua magistratura, ma che tuttavia testimoniano in maniera evidente come la struttura funzionariale della monarchia fridericiana fosse ben lungi dall'essere ingessata in ruoli e ambiti esclusivi e predeterminati: in questa ottica vanno compresi i mandati inviati dal sovrano al compalatius affinché, accingendosi Federico II a rientrare nel Regno nel 1240, provvedesse a inviare a corte diversi barili di vini o funzioni  relative all'approvvigionamento del pesce di migliore qualità per le cucine del cuoco di corte, o ancora funzioni relative al mantenimento sui fondi della propria amministrazione di alcuni falconieri e del loro seguito di uomini e animali.
Passiamo al Baiulus
Anche il baiulus esisteva già in epoca normanna, il baiulo costituisce uno dei cardini dell'amministrazione regia in sede periferica[13], vale a dire nei terreni extracittadini. Le competenze del baiulo si articolavano sostanzialmente in due ambiti, quello giudiziario e quello fiscale. In linea con una struttura amministrativa e funzionariale dai confini sempre sfumati e caratterizzata da una studiata flessibilità, i baiuli rappresentavano, almeno in linea teorica, uno dei terminali dell'azione regia; il loro compito principale era quindi quello di costituire, insieme ad altri funzionari periferici ‒ giustizieri, camerari e castellani ‒ il supporto necessario all'azione di governo in qualsiasi direzione essa si indirizzasse.
In questo senso due disposizioni emanate da Federico II, obbligavano i baiuli a fornire auxilium et consilium agli ufficiali regi tutti, qualora essi lo avessero richiesto per utilità della Curia regia.
Lo scopo è quello di sostituire forme di vendetta privata e giudizi di arbitrato per cause di minore entità delegate alle amministrazioni locali ed ancora presenti in alcune zone territoriale periferiche con la figura dello Stato, nella persona del baiuli.
Il baiulo, inoltre, presiedeva un tribunale che, oltre alla competenza su tutte le cause civili ‒ sia reali, sia personali ‒ ad eccezione di quelle feudali, avesse giurisdizione sulle cause penali che non prevedessero pene capitali. Per la cognizione delle cause e l'istruzione dei relativi procedimenti il baiulo era assistito da un giudice e da un notaio per la confezione delle scritture processuali.
L'ufficio di baiulo era concesso in gabella ‒ in extalium ‒ o in credenciam e poteva essere conferito dalla Curia regia o dai maestri camerari, ufficiali diretti superiori dei baiuli nella gerarchia delle magistrature locali.
Il baiulo al momento di accedere alla carica doveva prestare giuramento al maestro camerario di amministrare rettamente la giustizia. Il baiulo doveva essere necessariamente de demanio et homo demanii e non poteva essere un ecclesiastico; entrava in carica alle calende di settembre e l'incarico aveva la durata di un anno.
Nell'ampia sfera di competenze della bagliva, la magistratura locale per antonomasia, rientrava anche tutta una serie di compiti attinenti più specificamente all'ordine pubblico, al controllo delle attività locali e all'esazione fiscale, compiti questi che più da vicino richiamano l'attività dei baiuli normanni. Dalle disposizioni normative fridericiane si evince che i baiuli dovevano sorvegliare sulla tenuta dei fondaci regi da parte dei magistri fundicarii e corroborare con la loro testimonianza gli acquisti e la buona tenuta delle merci nei fondaci; dovevano imporre le defense, e ancora sorvegliare sulla conservazione dei tesori rinvenuti e sulla custodia di servi fuggitivi o di ladri, da inviare agli ufficiali competenti. Propaggini altre della baiulatio, ma sempre legate alla carica principale, erano infine i due baiuli fidedigni che una norma del 1231 stabiliva fossero eletti in ogni luogo allo scopo di vigilare sulla corretta gestione del commercio al minuto e dell'artigianato nei mercati locali e di denunciare le eventuali frodi alla Curia regia; e ancora i Baiuli Sarracenorum che nella Sicilia occidentale, alle dirette dipendenze del secreto ‒ dal quale ricevevano l'ufficio in gabella, secondo le modalità consuete ‒ amministravano la giustizia per la popolazione araba.
La centralità della figura del baiulo nell'ambito dell'amministrazione periferica ‒ cittadina in particolare ‒ e la sua duplice accezione di magistratura giudiziaria e fiscale, rappresentante locale del sovrano, aveva corrispondenti analoghi anche nella strutturazione di altre realtà monarchiche medievali coeve: omologhi nella denominazione e in parte anche nelle funzioni, erano i baile o battle dei domini della Corona d'Aragona e i baglivi regi del Regno di Francia. Questa connotazione cittadina, poi, verrà ulteriormente rafforzata in epoche successive a quella sveva; nel Regno di Sicilia, dopo il Vespro, questo ufficiale, divenuto elettivo, sarà il vertice non soltanto dell'amministrazione della giustizia civile, ma anche del governo locale delle principali città demaniali del Regno.
Potremmo azzardare che il baiulo è il diretto antecedente del gestore dell’ordine pubblico, del funzionario di polizia.
Vediamo ora Giustiziere e Maestro Giustiziere[14]-
Una rete di magistrati ai quali era deputato il compito di mantenere la pace (ovvero di garantire l'ordine pubblico) vigilando sul territorio, solo dal 1140 appaiono documentati, in tutto il Regno, i giustizieri, dapprima con competenze territoriali indefinite e solo successivamente connesse alle specifiche circoscrizioni territoriali.
Peraltro, almeno in una prima fase, e segnatamente in Sicilia, le competenze dei giustizieri provinciali, aventi principalmente giurisdizione in materia criminale e feudale, potevano sovrapporsi, e confondersi, con quelle del gran giustiziere di corte (Regiae Curiae Iustitiarius), al quale era affidato, con il potere di ius dicere, il compito di risolvere le controversie feudali e di procedere alla revisione dei privilegi, oltre che l'incarico di specifici accertamenti.
La magistratura è di notevole rilievo politico, i grandi giustizieri, assistiti da una ristretta curia di giuristi, assumeranno, con il trascorrere del tempo, specifiche competenze in materia giurisdizionale, fino a costituire una magistratura specializzata. Contestualmente, per quanto a noi interessa, a livello periferico, pro conservanda pace, veniva strutturata una rete di giustizieri provinciali, con competenze distrettuali, dando così vita a un ordo gerarchicamente strutturato in un livello apicale, centrale-regio, in un livello intermedio, periferico-provinciale, e in un livello basso, costituito dai baiuli, presenti nelle universitates e terrae demaniali e feudali.
Il giustizierato veniva a costituire, pertanto, una sorta di sistema piramidale che affondava la propria cuspide nella Curia regis.
Seppure vada tenuta presente una sostanziale difformità, sia nei tempi di attivazione che nelle funzioni, si può ritenere che nella tarda età normanna ai giustizieri provinciali fossero sovraordinati dei maestri giustizieri (tre, uno per valle, per la Sicilia), subordinati a un gran giustiziere che, in assenza del sovrano, presiedeva la regia gran corte.
Con l'estensione della magistratura baiulare e la strutturazione del giustizierato, la monarchia normanna realizzava un efficace controllo del territorio, secondo un disegno poi ampiamente ripreso da Federico II, il quale, significativamente, avrebbe riservato l’esclusiva giurisdizione ed imponeva ai giudici, che non potevano essere né ecclesiastici né di condizione servile né soggetti alla giurisdizione feudale, la conoscenza del diritto comune e di quello regio nonché delle consuetudini locali, che come abbiamo visto supra erano apprese nel Pubblico Studio Napoletano (la Federico II) dal 1240 sarà vietata la vendita degli officia baiulationum .
Il progetto costituente federiciano, però, non si limitava al solo riordino degli apparati giurisdizionali ma davano consistenza a un progetto tendente al controllo delle città e delle terre abitate, concedendo ridotti ambiti decisionali ai ceti dirigenti locali.

In tale prospettiva assumeva particolare significato la figura del maestro giustiziere, che assurgeva a vero arbitro dell'attività giudiziaria, quasi iustitiae speculum, secondo l'immagine disegnata dalla costituzione Magnae Curiae, e vero "grande fondamento ‒ dopo il re ‒ del sistema giurisdizionale del Regnum". A lui, ridefinendo in uno competenze e strutture della gran corte e del gran giustiziere, affidava un estesissimo potere disciplinare e di controllo su tutti i giudici.
Del pari veniva perfezionata la costruzione di un apparato giudiziario territorializzato teso a riportare tutta la giustizia al sovrano, sempre per quei fini per cui nascerà la Polizia di Stato, la tutela dell’ordine pubblico, ossia lo Stato quale garante innanzi ai sudditi dell'equità, della pace e dell'ordine. Un intento che doveva risultare chiaro anche dal giuramento (o breve) che i giustizieri pronunciavano assumendo l'ufficio, impegnandosi, specialiter et expressius, "ut Deum et iustitiam habendo pre oculis unicuique conquerenti iustitiam faciant sine fraude et quam citius poterunt litigantes expedire curabunt" .
 In tale contesto, il connettivo del sistema giudiziario, con una significativa rivitalizzazione dell'impianto normanno, era costituito dai giustizieri provinciali con un sistema di tribunali aventi giurisdizione di appello avverso le sentenze dei giudici cittadini e provinciali e giurisdizione di primo grado "in defectu etiam camerarium et baiulorum".
Va ritenuto che i giustizieri, certamente da distinguere sia dal supremo gran giustiziere che dai maestri giustizieri, organi intermedi, siano identificabili con i giustizieri regionali o provinciali o anche con i Praeses provinciarum e a tal fine appare indicativo che, nell'insieme, gli stessi magistrati venivano indicati, dapprima, come Iustitiarii regionum, quindi Praeses provinciarum e, infine, Iustitiarii 



[1] Figura che incontreremo nuovamente ma con funzioni differenti, il cosiddetto Capitano di Giustizia, vd. Infra pag.
[2]Vd. Infra Fu solo nel 1503, con la costituzione in Vicereame, che Castel Capuano fu destinato per la prima volta alla funzione di palazzo di giustizia, rimasta fino a qualche anno fa. Qui, infatti, il viceré don Pedro de Toledo riunì tutte le corti di giustizia sparse in diverse sedi in tutta la città: il Sacro Regio Collegio, la Regia Camera della Sommaria, la Gran Corte Civile e Criminale della Vicaria e il Tribunale della Zecca
[3] Introduzione Storica al Diritto Moderno e Contemporaneo. Lezioni e Documenti; Mario Ascheri; Giappichelli 2003; Torino; pag. 51
[4] Alla Ricerca dell’Ordine. Fonti e Cultura Giuridica nell’Età Moderna; Italo Birocchi; 2002; pp.1 e 2
[5]   Introduzione Storica al Diritto Moderno e Contemporaneo. Lezioni e Documenti; Mario Ascheri; Giappichelli 2003; Torino; pag. 52
[6] Ivi, pag. 54
[7] Ibidem
[8] Nell’Anno Mille; Edmond Pognon, traduzione di Maria Novella Pierini; R.C.S. libri s.p.a., 1997, Milano; pp. 134-161
[11] Vd. Infra 

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