sabato 12 gennaio 2019

INDICE


INDICE

·       Capitolo I
Pizzofalcone, il museo della Polizia di Stato, la polizia napoletana Greca e Romana https://museoanpsestoriadellapoliziadinapoli.blogspot.com/2019/01/capitlo-i-pizzofalcone-il-museo-della.html
·       Capitolo II
La polizia dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente: Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi https://museoanpsestoriadellapoliziadinapoli.blogspot.com/2019/01/capitolo-ii-la-polizia-dal-xiii-al-xvii.html
Capitolo III
·       Capitolo IV
·       Capitolo V

Gli autori:


Gli Autori:

dottor Giovanni Di Rubba

Da sempre appassionato di storia e della Polizia di Stato, socio simpatizzante ANPS sez. Napoli, figlio dell’ispettore capo in congedo Giuseppe Di Rubba, che sin da fanciullo gli ha trasmesso ideali e valori del corpo e l’educazione, l’amore per il prossimo ed il rispetto, che-come recita il motto della polizia di stato – solo rispettando le regole, sotto l’imperio della legge, possiamo dirci davvero liber –sub lege libertas-.
È giornalista pubblicista, autore, blogger, poeta, cultore della prosa lirica, scrittore, etimologo, commentatore, praticante avvocato abilitato al patrocinio, esperto in scienze criminologiche.
Classe 1985, nato a Pollena Trocchia ma vissuto sempre a Pomigliano d'Arco, nei pressi di Napoli, dopo il diploma di maturità scientifica si laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II", con una tesi dal titolo "L'Inquisizione Contro gli Indigeni d'America". Svolge la pratica forense presso uno studio legale che si occupa prevalentemente di diritto civile, conseguendo poi un Master post-laurea presso il Tribunale di Nola, "Scuola Bruniana, Fondazione Forense" in Criminologia Applicata, discutendo la tesi "Disagio Adolescenziale e la Devianza, profili risolutivi tra arte e cattolicesimo”".
Inizia la sua attività letteraria nel 1998, dal 1999 al 2004 scrive ipertesti letterari sull'ex sito "www.iopenso.com", per poi proseguire, dal 2005 al 2010 sulla piattaforma "www.studenti.it" fino ad aprire, ad inizio del secondo decennio di questo millennio, i blog personali "dichter.ilcannocchiale.it" e "selendichter.worpress.com", ove si occupa tutt’ora di composizione letteraria, critica e saggistica. Dal 2014 al 2018  gestisce il blog del movimento artistico dell' "Oltrismo" (oltrismo.com), fondato da Salvatore D'Auria (Sarossa), commentando e criticando le opere figurative e plastiche degli appartenenti al movimento.
Giornalista pubblicista dal febbraio del 2017, ha collaborato con diverse testate a partire dal 2003: Rivista “Fermenti” (supplemento ad “In Dialogo”) sino al 2007, “Magozine”, sino al 2010, il quotidiano "Roma" sino al 2015, infine "Il Gazzettino Vesuviano" sino al 2018, occupandosi sempre di cultura, spettacolo ed analisi politica.
Dall' ottobre 2017 al febbraio 2018 ha collaborato al progetto  “Magazine Lab, Laboratorio editoriale sulla legalità”, presso la scuola media secondaria "ISIS Einaudi Giordano" di San Giuseppe Vesuviano, con lezioni frontali ed interattive ed utilizzando un approccio artistico al tema della legalità, creando blog “Il Mondo Siamo Noi” e omonima pagina youtube interamente gestiti dagli studenti.
E' inoltre coautore delle liriche del romanzo “Amore e Mistero” di Monica Carmasin, edito Boopen, 2010; e una sua lirica è presente all'interno della crestomazia  “CET, Scuola Autori di Mogol”; AAVV; Aletti editore 2017;nonché dell’opera in tre tomi Selenio denso, la luna illumina l’infinito; youcanprint editori 2018. È  stato menzionato sul portale Edueda (Educational Encyclopedia of Digital Arts) ed è membro “AVIS” (Associazione Volontaria Italiani sangue)sez. Napoli; “AIDO” (Associazione Italiana per la Donazione Organi e Tessuti), “ANPS” (Associazione Nazionale Polizia di Stato)sez. Napoli.




commissario r.d.s. Luigi Gallo




Il Commissario rds (ruolo direttivo speciale) Luigi Gallo, nato nel 1941, è presidente dell’ANPS  (Associazione Nazionale Polizia di Stato) sezione di Napoli dal 2007, quando fu nominato commissario straordinario della sezione dalla Associazione Nazionale, riconfermato poi nel 2009 dal voto degli associati ed anche alle successive elezioni del 2015.
Arruolatosi l’anno 1962 nell’allora “Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza”, è stato assegnato prima al IX  Reparto Mobile di Palermo e poi al IV Reparto Mobile di Napoli, ha successivamente ricoperto il ruolo di infermiere militare ed è abilita alla guida veloce dei mezzi. Nel 1975 frequenta il corso di Polizia Giudiziaria a Brescia. Dopo aver fatto parte della squadra volanti della Questura di Napoli, del Commissariato di Ponticelli, della sezione P.G. (polizia giudiziaria) della Procura della Repubblica.
Ha assunto la carica di Presidente ANPS  a pochi anni dal congedo, incrementando la sezione napoletana di ben mille unità e rendendola, con gli oltre duemila iscritti, tra simpatizzanti, sostenitori, onorari, benemeriti ed effettivi, la più grande in Italia tra le associazioni di PS e forgiandola, presso l’aula Graziosi del Reparto Mobile partenopeo, di un “Museo della Memoria” interamente dedicato al corpo della Polizia di Stato, inaugurato il 22 giugno 2015.

ANPS (Associazione Nazionale Polizia di Stato, sezione Napoli


L’Anps Napoli schierata il IV novembre 2018 a piazza del Plebiscito, in occasione della festa delle forze armate.
L’Anps Napoli è, come riportato dal sito ufficiale[1] “la Sezione più grande d’Italia. Conta più di 2000 soci ed è sempre presente in tutte la manifestazioni civili, militari e religiose di Napoli e dei comuni limitrofi. Organizza diverse attività culturali e ricreative per i propri iscritti. La sezione è intitolata al Sovrintendente Tommaso Vittozzi, deceduto nel 1984 in seguito alle gravi ferite riportate in uno scontro a fuoco”.
Nel 2018 è ricorso l’anniversario del 50esimo anniversario dalla sua fondazione, riporta il sito della polizia di stato[2] “Associazione Nazionale della Polizia di Stato - è stata costituita il 30 settembre del 1968 ed eretta Ente morale con decreto del presidente della Repubblica n. 820 del 7 ottobre 1970, con la denominazione di Associazione Nazionale delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Il 1° aprile 1981, con la riforma e l'applicazione della legge 121, ha preso la denominazione attuale (ANPS). Gli associati, che volontariamente aderiscono all'ANPS, sono i dipendenti in congedo e in servizio della Polizia di Stato, oltre agli altri soggetti previsti dall'articolo 4 dello Statuto (benemeriti e simpatizzanti). Il Presidente onorario del sodalizio è il Capo della Polizia in carica - direttore generale della pubblica sicurezza. Sono soci onorari gli ex capi della Polizia, i vice capi della Polizia, i prefetti, i direttori interregionali e i questori in sede, le medaglie d'oro al valore militare, quelle al valore civile e i grandi invalidi della Polizia di Stato. Attualmente l'ANPS sul territorio nazionale conta più di 170 sezioni, insieme alle sedi estere di Toronto (Canada) e New York (Usa), ed oltre 32.000 soci.” Ed in merito alle finalità prosegue[3] “Le finalità dell'associazione sono di alto livello morale e hanno anche lo scopo di mantenere vivo il legame di solidarietà tra il personale in congedo e quello in servizio. L'ANPS è custode del Medagliere della Polizia di Stato nella sede centrale che si trova a Roma, in via Statilia 30. Il Medagliere rappresenta il sacrificio e la dedizione al servizio di tanti operatori della Polizia di Stato che hanno immolato la loro vita per garantire il rispetto delle leggi dello Stato e per tutelare la sicurezza di tutti i cittadini della Nazione. Il loro sacrificio è sempre vivo e presente nell'opera quotidiana di tutti gli appartenenti alla Polizia. L'ANPS è una grande famiglia che condivide il motto della Polizia di Stato "Vicini alla gente", protagonista di ieri e di oggi.”
Attuale Presidente Nazionale è Claudio Savarese che tiene a sottolineare come “chi è poliziotto lo è sempre”[4], dando risalto ad alcuni aspetti, i fondamentali, della associazione, preservare la memoria degli anziani, la heideggeriana Gedächtnis che le generazioni vecchi trasmettono alle nuove rendendo sempre viva non la memoria sic et simpliciter di caduti nell’adempimento del dovere, aspetto forse più importante perché esemplare, pratico, concreto, ma anche quel seno forte di appartenenza alla legge, allo stato che sotto la sua egida ci protegge e protegge soprattutto i deboli, manto contro le intemperie della vita.
E non è un caso, e queste informazioni possono reperirsi sfogliando il calendario[5] che i fini originari per cui nasce l’ANGPS (Associazione nazionale guardie di pubblica sicurezza) nel 1970 furono essenzialmente pensionistici-solidaristici tra personale in congedo , il 30 settembre 1968 iniziano i lavori a via Statilia 30, ove ancor oggi sorge la sede. E da Roma le sedi,  a seguito del decreto 820 del 7 ottobre 1970 con cui il Presidente Saragat la erige Ente Morale, si diffondono un po’ alla volta per la penisola. L’ANGPS è l’ultima associazione combattentistica e d’arma fondata, iscritta nel registro delle persone giuridiche, ma anche l’unica a godere della tutela del Ministero dell’Interno. L’ANPGPS diverrà ANPS a seguito della riforma della polizia DPR 121/1981.
Interessante notare, e su questo torneremo, che, sebbene è da fine anni ‘60 che si inizia a parlare di costituzione della associazione, già nell’immediato dopoguerra si sentiva questa necessità associativa, soprattutto dagli ex membri PAI, ossia della polizia coloniale in Africa, attivi nel ventennio e ricordati come uomini integerrimi, difensori dei coloni, fedelissimi tanto da ottenere il plauso dei britannici durante l’assedio di Adis Abeba e di molte altre ci9ttà etiopi per la fermezza attraverso la quale riuscivano a combattere sciacallaggio, saccheggi e ruberie, rischiando in proprio e con altissimo senso di giustizia e del dovere[6].
Dal 2004 nasce il Gruppo di Ivrea e l’associazione è impegnata anche nel terzo settore, nel volontariato sociale. Attualmente con 29 sezioni che svolgono attività di Protezione Civile, distintisi più volte nel soccorso delle persone colpite da calamità naturali ed inoltre, più spesso, impegnate nell’assistenza in occasione di grandi eventi, nei servizi di scorta nelle manifestazioni sportive, nel servizio di vigilanza fuori le scuole, nella collaborazione con le Onlus per eventi di beneficenza. Tali gruppi,  in forza della legge 106/2016, seguono altresì, oltre il regolamento Anps anche quello sul volontariato sociale.
Per quanto concerne Napoli, sezione con più iscritti, come sopra accennato, nasce nel 1970 ma le notizie circa le attività svolte sono scarse. È dal 2008 e dalla presidenza Gallo che è impegnata su più fronti, soprattutto nella tutela delle fasce più deboli, i bambini, con interventi istruttivi circa la viabilità, nonché gli adolescenti, intervenendo in eventi che riguardano le nuove piaghe, bullismo, cyberbullismo, dipendenza da internet.
Per quanto concerne l’ Anps Napoli, oltre al presidente commissario rds Luigi Gallo da ricordare l’attività e l’impegno degli altri componenti,  il vicepresidente sovrintendente capo cavalier Modestino Orabona, il segretario Cosimo Liccardo; i consiglieri il medico capo Elena Napolitano, Giuseppe Ombelino, Giovanni Antrichetti, Guido Tiano, Giuseppe Bosco, vice questore aggiunto dottoressa Daniela Amore, Ludovico Morisco, Guido Rossi, Sergio Schiano; i sindaci: sostituto commissario Maria Rosaria siriaco, ispettore capo Marco Di Maggio e l’assistente capo Maria Roefaro.  


La sezione Napoli in occasione del 50esimo anniversario dalla fondazione dell’Anps, Ostia, 30 settembre 2018


Ingresso sezione Anps Napoli







Ufficio del Presidente Luigi Gallo

Anps saletta attesa

FIAMME ORO:
ln copertina di Fiamme Oro del 2019 è dedicata a Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio, detta “Bebe”, nata a Venezia nel 1997, schermitrice italiana, campionessa paraolimpica, mondiale ed europea in carica di fioretto individuale.
Fiamme Oro è il gruppo sportivo della Polizia di Stato. Nel gennaio 1949 la Gendarmeria austriaca organizza alcune gare riservate ai “colleghi” della polizia di frontiera. Tra questi, per la polizia, partecipa la Scuola Alpina delle Guardie di Pubblica Sicurezza, una squadretta piccola che ottiene la vittoria inaspettata. Nel 1952 il Gruppo viene trasferito a Moena, ove tutt’ora risiede e nel 1954, grazie ad una convenzione con il Ministero dell’Interno ed il COI , nasce la Polisportiva Comunale Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, dal 1981, dopo la riforma, Fiamme Oro.
Fiamme Oro è anche la rivista ufficiale della Polizia di Stato e della redazione se ne occupa proprio l’ANPS.



Uffici di Segreteria Anps Napoli

Il vicepresidente, sovrintendente capo cavalier Modestino Orabona 








[3] Ivi
[4] Il Cinquantennio della Associazione, calendario storico; 2018; pag.1
[5] ivi
[6] Storia della Polizia di Napoli; Direzione Centrale Anticrimine Tipografia; 2003; pag. 19

Vittima del dovere


Sovrintendente capo Tommaso Vittozzi

Come accennato la sezione ANPS Napoli è intitolata alla memoria del sovrintendente capo Tommaso Vittozzi, in forza alla DIGOS,  morto nell’adempimento del suo dovere, libero dal servizio, mentre tentava di sventare una rapina nei pressi di Arzano.
Il mattino ne dà l’annuncio della scomparsa[1]:  morì il 5 Settembre al Secondo Policlinico di Napoli, dove era ricoverato in seguito alle gravissime ferite riportate alcune settimane prima durante  uno scontro a fuoco con alcuni criminali ad Arzano.
Il 13 Agosto il sovrintendente Tommaso Vittozzi era fuori servizio e si trovava davanti al negozio di autoricambi di proprietà di un amico, nel Parco Quadrifoglio, sulla strada provinciale che da Casandrino porta a Arzano,  quando tre giovani rapinatori, giunti a bordo di una A112, estrassero le pistole costringendo il poliziotto ed il negoziante a rientrare nel locale. Vittozzi cercò di reagire, estraendo la pistola d’ordinanza, ma venne colpito da tre colpi di pistola esplosi quasi a bruciapelo da uno dei criminali e che lo raggiunsero all’addome, ad una mano ed a un avambraccio. I tre rapinatori si diedero alla fuga a bordo della loro auto.
Il sovrintendente Vittozzi, a cui i proiettili avevano leso fegato e duodeno,  fu portato in ospedale dallo stesso amico che si trovava con lui al momento del tentativo di rapina.
Il poliziotto fu operato prima all’ospedale Nuovo Pellegrini di Napoli poi, dopo alcuni giorni venne trasportato al Secondo Policlinico dove morì alle 15,30 del 5 Settembre. Una nuova operazione chirurgica era stata programmata per il giorno successivo.


Il sovrintendente capo Tommaso Vittozzi dipinto da un artista

   
In cima al quadretto commemorativo di Tommaso Vittozzi sono rappresentati altri tre poliziotti, caduti nell’adempimento del loro dovere:

guardia scelta Antonio Marino; commissario capo Luigi Calabresi; guardia scelta Antonio Annarumma


preferiamo soffermarci un attimo sui primi due, forse meno noti, e poi dire due parole anche sul commissario Calabresi, la cui scomparsa  sollevò molto l’opinione pubblica.
·         La guardia di P.S. Antonio Marino (nella foto a sinistra), nato a Caserta il 10 giugno 1950, si arruola giovanissimo in Polizia. All’età di 22 anni, in forza al III Reparto Celere, venne ferito mortalmente per salvare la vita di un collega durante una manifestazione politica. Impegnato in un servizio d'ordine il 12 aprile del 1973 a Milano, accortosi che un ordigno lanciato dai dimostranti stava per raggiungere un collega, riusciva a spingere quest'ultimo fuori dalla traiettoria con grande sprezzo del pericolo e della sua incolumità.
·         La guardia di P.S. Antonio Annarumma (nella foto a destra), nato a Monteforte Irpino nei pressi di Avellino, il 10 gennaio 1947 si arruola in polizia il primo dicembre del 1967. In forza da pochi mesi al 3° reparto celere di Milano Antonio, il 19 novembre 1969 fa parte del contingente che fronteggerà a Milano due manifestazioni, una studentesca ed una operaia per il costo degli affitti. Gli scontri furono feroci e durarono per ore, 55 guardie di pubblica sicurezza e 5 carabinieri furono feriti.
Antonio Annarumma alla guida di una jeep, in via Larga, fu colpito al volto da un corpo contundente probabilmente un tubolare di ferro. Ci fu un urto con un’altra jeep della polizia ma Antonio aveva già perso conoscenza. Morirà dopo tre ore di agonia in ospedale. Oggi alla memoria della guardia di pubblica sicurezza è intitolata la caserma del 3° reparto
mobile di Milano.
·         Il commissario capo Luigi Calabrese (nella foto centrale). Rappresenta senz’altro il prototipo del funzionario di “polizia politica”. Nato nel 1937 a Roma da una famiglia della media borghesia (il padre commercia vini e oli). Dopo avere frequentato il liceo classico "San Leone Magno", nel 1964 si laurea in Giurisprudenza realizzando una tesi sulla mafia siciliana.
Mentre milita nel movimento cristiano Oasi del padre gesuita Virginio Rotondi, matura la sua oramai chiara vocazione, fare il poliziotto. Nel 1965 vince il concorso per vice commissario di pubblica sicurezza: dopo avere preso parte al corso di formazione dell'Istituto Superiore di Polizia entra in servizio a Milano, dove viene inserito nell'ufficio politico della questura. Collaboratore sporadico del quotidiano socialdemocratico "Giustizia" e, sotto pseudonimo, di "Momento Sera", a Milano Calabresi ha il compito di indagare sugli ambienti della sinistra extraparlamentare, con particolare riferimento ai gruppi anarchici e ai gruppi maoisti.
Gli anarchici, in particolare, sono sospettati di aver messo a disposizione gli esplosivi utilizzati in Grecia per gli attentati durante la Dittatura dei colonnelli.
Nel 1967 conosce Giuseppe Pinelli dopo avere richiesto alla questura di Como, su domanda degli anarchici, il permesso per un camping anarchico a Colico; a novembre dello stesso anno, invece, è al comando delle forze di polizia che si occupano dello sgombero dell'Università Cattolica del Sacro Cuore occupata dagli studenti capeggiati da Mario Capanna (il primo esempio di lotta studentesca, che dà il via al Sessantotto milanese).
Nel 1968 Calabresi viene nominato commissario capo, e in più di un'occasione dirige le cariche dei reparti di polizia nel corso degli scontri e delle manifestazioni di protesta di quel periodo; a Natale di quell'anno dona a Giuseppe Pinelli il libro di Enrico Emanuelli "Mille milioni di uomini" (riceverà in cambio, l'agosto seguente, il libro preferito dall'anarchico milanese, l'"Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters).
Diventato vice capo dell'ufficio politico della questura milanese, nell'aprile del 1969 riceve l'incarico di indagare sugli attentati avvenuti in Stazione Centrale e alla Fiera Campionaria di Milano: ferma e arresta quindici esponenti della sinistra extraparlamentare, diventando noto a livello nazionale. Gli arrestati, tuttavia, rimarranno in carcere per soli sette mesi, prima di uscire di prigione per mancanza di indizi.
Nel novembre del 1969 Luigi Calabresi partecipa ai funerali dell'agente di polizia Antonio Annarumma (vedi supra), che ebbe come sottoposto, e interviene per difendere Mario Capanna, esponente della sinistra extraparlamentare, dall'ira dei colleghi di Annarumma. Un mese dopo, si trova a indagare sulla strage di piazza Fontana a Milano, dove una bomba posizionata nella filiale della Banca Nazionale dell'Agricoltura ha causato la morte di diciassette persone e il ferimento di quasi un centinaio.
Il commissario Calabresi pensa subito alla pista dell'estrema sinistra, e sale suo malgrado agli onori delle cronache per la morte di Giuseppe Pinelli, convocato in questura dopo la strage, tenuto in stato di fermo per quasi tre giorni (in maniera illegale, dunque) e caduto dalla finestra dell'ufficio di Calabresi. Il tragico evento si verifica il 15 dicembre, e la conferenza stampa che viene convocata per spiegare l'accaduto parla di un suicidio (la versione verrà ritrattata in seguito: sulla morte di Pinelli non sarà mai fatta chiarezza fino in fondo). Da quel momento, tuttavia, il commissario entra nel mirino delle formazioni extra-parlamentari di sinistra e diviene oggetto di una campagna di denuncia che coinvolge numerosi intellettuali: nel 1970, per esempio, Dario Fo scrive l'opera teatrale "Morte accidentale di un anarchico", evidentemente ispirata ai fatti, mentre Nelo Risi e Elio Petri dirigono il lungometraggio "Documenti su Giuseppe Pinelli".
Calabresi viene minacciato anche direttamente, con scritte sui muri e non solo: nei suoi confronti, dunque, cresce un odio sempre maggiore anche a causa della campagna di stampa promossa dal giornale "Lotta Continua", che denuncia senza mezzi termini le supposte responsabilità del commissario (e degli altri uomini della questura) per la morte di Pinelli.
Il 15 aprile del 1970 il commissario denuncia il direttore di "Lotta Continua", Pio Baldelli, per diffamazione continua e aggravata: nell'ottobre di quell'anno prende il via il processo noto come "Calabresi-Lotta Continua" (dopo che a luglio l'indagine del giudice Antonio Amati sui fatti del 15 dicembre era stata archiviata). Il processo diventa terreno di un acceso scontro politico: l'avvocato di Calabresi, Michele Lener, ricusa il giudica Carlo Biotti, che in un colloquio privato aveva parlato della propria intenzione di assolvere Baldelli, ma tale richiesta di ricusazione viene interpretata da molti come un tentativo di prendere tempo dopo la richiesta di riesumazione del cadavere di Pinelli avanzata dagli avvocati dello stesso Baldelli.
La ricusazione viene accettata il 7 giugno del 1971 dalla Corte d'Appello: la settimana successiva Camilla Cederna pubblica sull'"Espresso" un articolo in cui indica Calabresi come un torturatore responsabile della morte di Pinelli e accusa Botti di avere inquinato il processo per carrierismo. Nel numero seguente dell'"Espresso" vengono pubblicati i nomi di moltissimi intellettuali che hanno sottoscritto l'appello della Cederna (che invitava Calabresi alle dimissioni). Nel frattempo, al Commissario Calabresi si imputa anche di essere stato un agente della Cia e un uomo di fiducia di Barry Goldwater, che avrebbe presentato al generale De Lorenzo.
In questo clima di tensione, il 17 maggio del 1972 il Commissario Luigi Calabresi viene ucciso davanti alla sua casa di Milano mentre sta andando a prendere la propria auto per andare in ufficio: ad assassinarlo sono almeno due persone, che lo sorprendono alle spalle.
Da ricordare, poi,
·         guardia di p.s. Claudio Graziosi, cui è intitolato il museo.
Il 22 marzo 1977 su un autobus, a Roma, l’agente di polizia con acume investigativo individua una militante evasa dal carcere di Pozzuoli con l’appoggio esterno dei NAP il 22 di gennaio dello stesso anno. Lei è Maria Pia Vianale, con sprezzo per il pericolo e senza esitazione estrae la pistola d’ordinanza e cerca di arrestarla ma il militante che è con lei, per impedirne l’arresto, affronta Graziosi e lo uccide.


[1] “Il Mattino” del 6 Settembre 1984

Labari ANPS


Labaro con logo vecchio ANPS
Il logo in uso dal 1981 al 2014 recava a destra il fregio della polizia di stato ed a sinistra lo stemma araldico della polizia stessa.
Il fregio è un’aquila eretta- l’aquila da sempre simboleggia la polizia- sormontata da una corona fatta di una torre trimerlata, a designare la forza, il coraggio, l’onore.  Al centro uno scudo cremisi con l’anagramma RI (Repubblica Italiana).
Lo stemma araldico, invece, è uno scudo diviso in due parti verticali.
La parte sinistra è divisa in due registri dal fondo dorato, separati da una fascia azzurra, simbolo delle decorazioni concesse alla bandiera della Polizia. Nel registro superiore è raffigurato un libro chiuso, il cui titolo LEX sottende il compito della Polizia di esser fedele e di far rispettare le Leggi e i Regolamenti della Repubblica. Rappresenta, insomma, il referente cui la polizia deve attingere saldamente: Costituzione Repubblicana, Leggi, Regolamenti.  In quello inferiore, il motivo delle due fiammeggianti fiaccole incrociate si riferisce alla fondamentale attività di soccorso e assistenza della popolazione in caso di calamità, ossia la tutela dell’ordine pubblico, che da sempre attiene all'Amministrazione di Pubblica Sicurezza.
Nel lato destro sul fondo purpureo un leone rampante dorato, che impugna con la zampa anteriore destra un gladio romano, sottolinea l'imprescindibilità di forza, coraggio, onestà nella difesa della legge.
Sotto lo scudo lungo il nastro sinuoso dalle estremità bifide, il motto Sub Lege Libertas, ricorda  come l'azione della Polizia deve svolgersi nel rispetto delle Leggi e dell'Istituzione Repubblicana e che ogni cittadino è davvero libero solo sotto il manto delle regole.
Lo scudo e il motto sono racchiusi da due rami incrociati, uno di quercia, simbolo della forza, l'altro di alloro, simbolo del valore.
Sormonta una corona turrita emblema della Repubblica.
Nello stemma, sotto la torre mediana c'è uno scudetto di colore cremisi, che reca impresso l'acronimo R.I., con la lettera I intersecante.
La corona consta di cinque torri visibili, di pianta rettangolare con merli alla guelfa. Ogni torre è munita di una porta con una soprastante finestra; anche i singoli tratti delle mura di raccordo hanno una feritoia. L'insieme della composizione è dorato e bordato di nero, mentre la base della circonferenza è rossa.
Ai fianchi fronde arboree che ornano lo scudo, la quercia che simboleggia la forza e la palma la pace.

Labaro, logo nuovo ANPS


Il nuovo logo si compone dei medesimi elementi, il fregio è quello della polizia ma con la variante che al posto del centrale scudo cremisi recante la scritta RI c’è lo stemma araldico della polizia ed ai piedi dell’aquila il “nostro” tricolore con la scritta ANPS. Un mutamento questo che avvicina ancora di più i cittadini alla polizia e ne fa cuore pulsante del progresso della nostra nazione-rappresentata dal tricolore- per la tutela dei valori e per il farsi, davvero, comunità.




San Michele Protettore Polizia di Stato



Il 29 settembre cade la ricorrenza di San Michele Arcangelo, una delle figure più note della Bibbia, del Nuovo ed Antico Testamento, e riconosciuta da quasi tutte le religioni monoteiste, dai cattolici, ai protestanti, passando per gli ebrei, gli islamici, sino addirittura agli avventisti ed ai testimoni di Geova. Nell'iconografia, orientale e occidentale, San Michele Arcangelo viene rappresentato come un combattente, con la spada o la lancia nella mano e sotto i suoi piedi il dragone, simbolo di satana, sconfitto in battaglia.
Emblema da sempre della Giustizia, considerato teofania del Cristo, è l’icona storica della lotta contro il Male, contro Satana, contro le ingiustizie e le diseguaglianze, contro la criminalità di ogni tipo, contro qualsiasi forma di violenza. Rappresentato nell’atto di soggiogare il demonio calpestandolo col suo piede tenendo alla destra una spada, simbolo della forza pubblica, dell’ordine, nell’altro la bilancia, simbolo dell’equilibrio, della temperanza e della giustizia.
Fu proclamato patrono e protettore della Polizia da Papa Pio XII il 29 settembre 1949 per la lotta che il poliziotto combatte tutti i giorni come impegno professionale al servizio dei cittadini per l'ordine, l'incolumità delle persone e la difesa delle cose.
La figura di San Michele, dall’ebraico “Mi-ka-El”, “chi è come Dio?”, è da sempre centrale per le Associazioni della Polizia di Stato e per il corpo stesso, al di là della religiosità o meno, essa rappresenta un ideale di Giustizia cui ogni operatore delle forze dell’ordine tende, ossia quello di cercare, con la sua attività, di tutelare i cittadini ed i più deboli al fine di garantire ordine e sicurezza e il vivere liberi sotto l’imperio della legge, come ricorda il motto della Polizia di Stato “Sub lege libertas”.

Tra le tante preghiere di invocazione e intercezione e protezione a San Michele arcangelo vi è quella del poliziotto, che qui riportiamo:

“Oh! San Michele Arcangelo, nostro celeste Patrono, che hai vinto gli spiriti ribelli - nemici della Verità e della Giustizia - rendi forti e generosi, nella reverenza e nell'adesione alla Legge del Signore, quanti la Patria ha chiamato ad assicurare tra i suoi cittadini concordia, onestà e pace affinché - nel rispetto di ogni legge - sia alimentato lo spirito di umana fraternità . Per questo, imploriamo dal tuo Patrocinio rettitudine alle nostre menti, vigore ai nostri voleri, onestà agli affetti nostri, per la serenità delle nostre case, per la dignità della nostra terra!
Amen”

Capitolo I Pizzofalcone, il Museo della Polizia di Stato, la “polizia” napoletana Greca e Romana


Capitolo I
Pizzofalcone, il Museo della Polizia di Stato, la “polizia” napoletana Greca e Romana


Statua di Temi-dea della giustizia- presso l’ Università di Chuo in Giappone

È noto che coloni greci si insediarono dapprima nell'isola di Ischia (IX secolo a.C.),  per trasferirsi poi a Cuma e, solo nel VI secolo a.C., fondarono la città di Partenope sull'isola di Megaride (ove ora sorge il Castel dell’Ovo) . Data la posizione geografica invidiabile nel mare nostrum, era più che altro di uno scalo commerciale per mantenere i contatti con la madre patria, che, in un secondo momento, si espanse sul vicino Monte Echia (Pizzofalcone), assumendo la struttura di un piccolo centro urbano.
E possiamo dire che proprio in Pizzofalcone nasce, dunque, il vero primo insediamento “occidentale” di Napoli –tante saranno le civiltà anche preistoriche, per non parlare dei Sanniti, etc.- 
Nota anche col nome di Monte di Dio, fa parte del quartiere San Ferdinando, situata fra il borgo Santa Lucia, il Chiatamone e Chiaia. Prima fuori dall’urbe partenopea, e sede di parte del Castrum Lucullianum, poi convento dei monaci basiliani, deve il suo nome alla caccia al falcone, che si iniziò a tenere proprio su questa collina nel secondo lustro del Duecento. Fu il Carlo I d'Angiò che decise di praticare in questa zona - quando la collina non faceva parte del tessuto urbano-  la caccia al falcone,  facendovi costruire una falconiera per la real caccia di falconi.
Nel 1442 la zona Pizzofalcone era fuori le mura cittadine e Napoli fu assediata da Alfonso V d'Aragona. Data l’asprosità della zona fu costruito un bastione per supportare gli attacchi, che prese il nome di Fortelicio di Pizzofalcone, poi rimasto a protezione della città.
Nel 1509 la falconeria fu in parte abbattuta ed il territorio iniziò ad urbanizzarsi, quando Andrea Carafa della Spina, conte di Santa Severina, acquistò alcuni terreni del monastero dei Santi Pietro e Sebastiano per edificarvi la propria villa. Al viceré Don Pedro de Toledo si deve l'ampliamento cinquecentesco che, per la prima volta, inglobò all'interno delle mura il monte Echia, ancora in epoca aragonese fortezza militare siti Perillos, propaggine esterna della città.
Il posto di caccia voluto da Carlo I d'Angiò fu demolito definitivamente per far posto a un carcere, che fu poi convertito in stabilimento militare. Nel 1651 il viceré Conte d'Oñate ordinò che vi si stanziassero le truppe spagnole fino ad allora alloggiati nella zona a ridosso di via Toledo nei quartieri spagnoli. Inizialmente i soldati vennero suddivisi tra Palazzo Carafa ed i suoi giardini.
Solo tra il 1667 e il 1670 il viceré Pedro Antonio di Aragona fece costruire, sulla superficie precedentemente occupata dai giardini, il Gran Quartiere di Pizzofalcone, così da permettere un migliore sistemazione della guarnigione spagnola. che nel XIX secolo era occupato dai Granatieri della Guardia Reale. Nella stessa area insisteva il Reale officio topografico, in cui venivano redatte le carte topografiche, geografiche e idrografiche del Regno delle Due Sicilie. L'edificio era provvisto di una specola per le osservazioni astronomiche in funzione delle rilevazioni geodetiche.
Tale zona, detta  Gran Quartiere di Pizzofalcone o Presidio di Pizzofalcone, oggi si chiama  caserma Nino Bixio è un edificio militare sito a Napoli, all'apice di via Monte di Dio, sulla collina di Pizzofalcone, nel quartiere San Ferdinando. Oggi esso è sede del IV Reparto Mobile di Napoli.
L'edificio, infatti, non ha mai variato la propria destinazione d'uso di carattere militare. Dopo avere ospitato per secoli reparti della guarnigione dell'Armata napoletana e la Real Accademia Militare della Nunziatella, costituita il 18 novembre 1787, subito dopo l'Unità d'Italia ospitò il 1º Reggimento bersaglieri "Napoli". Contestualmente fu dedicato a Nino Bixio. Dopo la seconda guerra mondiale divenne caserma della Polizia di Stato, adibita ad ospitare il IX Reparto mobile di Napoli, dal 1971 denominato IV Reparto Celere delle guardie di pubblica sicurezza fino a diventare il IV Reparto mobile della Polizia di Stato di Napoli.


Inaugurazione del museo, 22 giugno 2015

Il Reparto Mobile di Napoli è sede anche del Museo della Memoria della Polizia di Stato, alloggiato presso l’ Aula Claudio Graziosi.
Inaugurato il 22 luglio del 2015, in seno alla sezione napoletana dell’ Anps, diretta dal Presidente Commissario r.d.s. in quiescenza Luigi Gallo.
Essa avrà la funzione di manutenzione, custodia e gestione di un piccolo museo della Polizia di Stato, ove saranno esposti mezzi e strumenti utilizzati in passato dalla forza di polizia nonché una collezione privata ad opera del Collaboratore Tecnico Capo della P.S. Marinaro Ezio, con modelli in scala degli automezzi in uso alla polizia a partire dal ‘900 e sino ai giorni nostri.
L’ubicazione sarà l’Aula Graziosi, intitolata  alla guardia di P.S. Claudio Grazioli, insignito della medaglia d’oro al valor civile, il quale il 27 marzo del 1977 perdeva la vita eroicamente perché, fuori dal servizio, aveva riconosciuto e bloccato su di un autobus la terrorista Maria Pia Vianale. La predetta aula già nel ’91 fu destinata a sala lettura, divenendo idoneo spazio di studio presso il Reparto per il personale ivi alloggiato. Successivamente utilizzata per cerimonie e riunioni a carattere istituzionale.
Il museo fonda la sua ragion d’essere sul senso di appartenenza, sullo spirito di gruppo e sulla memoria, tre pilastri su cui poggia.
Quale delegato responsabile del Gruppo è stato proposto il Maresciallo della Polizia di Stato in quiescenza Pisacane Francesco, Cavaliere della Repubblica, membro più anziano del Reparto (nella foto)  e con un indiscusso valore carismatico e di rappresentanza di generazioni di poliziotti avvicendati in tale sede.
Attraverso il museo della memoria della Polizia di Stato vuole perseguirsi lo scopo di realizzare a pieno gli obbiettivi fondanti dell’Anps, ossia custodire la memoria del passato attraverso immagini attuali e foto d’epoca, in modo da trasmettere alle future generazioni, attraverso un percorso storico, i valori fondanti della Polizia di Stato.


Sovrintendente capo Francesco Pisacane, “il maresciallo Pisacane”, delegato dall’Anps Napoli come responsabile del museo. È il membro più anziano della associazione


Vero è che il museo raccoglie e conserva  cimeli e riproduzioni riguardanti la Polizia di Stato dalla sua fondazione, ossia con R.D. 30 del 1848, seguito dal 1404 del 1852, istitutivi il primo della Amministrazione di Sicurezza, il secondo del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, corpi nati dunque nel savoiardo Regno di Sardegna ma poi, a seguito del 1960-1961 estesi gradualmente a tutta l’Italia. Parleremo di questo nel presente opuscolo, costernandolo, ove possibile, con efficaci immagini.
Purtuttavia una premessa non troppo corposa va fatta, ed è uno dei motivi della redazione del presente scritto, analizzare, seppur sommariamente, la situazione della polizia a Napoli in epoca preunitaria, dalla preistoria ai greco-romani, al ducato di Napoli, al dominio Angioino, Aragonese, Borbonico, alla pausa Francese, al ritorno breve Borbonico sino all’Unità Nazionale.
Durante l’epoca Greca, che affonda nella notte dei tempi con figure leggendarie quali il mito della sirena Partenope, sappiamo che intorno al XII secolo i primi coloni si insediano ad Ischia e quasi contemporaneamente a Cuma.  Come era amministrata la “polizia” all’epoca, vale a dire in età preistorica o quando comunque la vita era scandita da ritmi tribali. La curiosità è che la attività di polizia era strettamente legata alla medicina e dunque il “capo della polizia”non era il capo del villaggio, che aveva sotto di sé l’esercito, ma lo sciamano che curava. E non vi era una netta separazione tra malattia e crimine, tra malanno e colpa. Era lo sciamano che aveva il compito di restaurare l’ordine in una società, in una comunità, quando esso si infrangeva e non poteva no farlo che con la ritualità. Ricordiamo che anche in epoca Greco-Romana era usanza dei cavalieri, prima di affrontare un combattimento, rivolgersi ai saceerdoti. Sempre era ed è presente un ordine sacro che non può infrangersi, un sacro equilibrio tra le cose e chi esce fuori da questo equilibrio deve ritornare all’armonia per sé, per la comunità, per il cosmo. Diremmo noi, oggi, va rieducato.
Nel 476 a. C. la Grecia inizia ad insediarsi a Cuma, conquistatala si insediano più ad oriente della vecchia Partenope e chiamano la loro citta “nuova città”, Neapolis appunto. I primi rapporti tra Roma e Neapolis furono improntati all'amicizia e al tentativo di stipulare accordi, ma, sotto le pressioni delle altre colonie, Neapolis fu poi spinta a rifiutare collaborazioni coi romani; questo portò nel 326 a.C. ad un conflitto armato che, nonostante l'alleanza dei partenopei con sanniti e nolani, si concluse con la vittoria del console romano.
La pace non fu tuttavia disonorevole: fu creata una confederazione con Roma, e la città poté mantenere le proprie prerogative e istituzioni, rivelandosi nel seguito una fedele alleata del sempre più potente vicino.
Del resto, Neapolis era per Roma un importante veicolo della cultura e della civiltà greca, un vero e proprio punto di raccordo, oltre che una serena zona di villeggiatura per i patrizi, vi sostava Virgilio, vi morì Ottaviano, primo imperatore Romano, fu costruita Puteoli- Pompei, Ercolano, lo splendido Castrum Lucullianum  che si  estendeva da Pozzuoli a Megarite, la villa a Giugliano di Scipione l’Africano, la residenza dove alloggiava Tiberio a Capri e via discorrendo(ove si dice fosse stato assassinato Romolo Augustolo, ultimo imperatore Romano).  
Quale giustizia in quel periodo e quale “polizia”. Abbiamo accennato di civiltà preistoriche, italioti, altri indigeni, Sanniti, ove la figura del sacerdote era centrale –e stesso può dirsi per l’epoca Romana, sia in età arcaica delle XII legge e sia in età Repubblicana, essendo i magistrati di quest’ultima cos’altro se non sacerdoti potremmo dire “civili” ad ognuno dei quali spetta una funzione di governo-. Venendo ai Greci sappiamo che sin da prima che esistesse uno Stato organizzato si seguivano riti similtribali detti della “cultura omerica”[1]che si basava sulla timé, ossia sull’onore e prevedeva la “cultura della vergogna”, non essendovi punizioni per le regole c’era questo shame forse meglio traducibile con guilt, ovverossia  colpa. Non esistono regole, che le viola rompe il patto sociale e la sua colpa è grande e sentita perché, giova rifletterci, gravi e sentiti sono i valori violati. Tali culture sono molto sviluppate nelle piccole tribù che si fondano sul rispetto reciproco e sulla stima, come una sorta di associazioni o club, ove scopo del malfattore di turno non è farla franca ma vergognarsi, sentirsi in colpa. Tipico anche delle culture Longobarde e Normanne per certi versi. La violazione di una norma era, potremmo sottolineare, violazione verso l’altro, verso la comunità ma soprattutto verso il cosmo, l’armonia ed il suo ordine. Non esisteva un foro interno. Il reo era reo e si sentiva in colpa per essere reo, non vi era dunque necessità di indagini giudiziario-poliziesche perché lui stesso confessava un peso insopprimibile. Il concetto di pena[2] nasce dall’altro aspetto del diritto omerico, la vendetta, anche questa diffusa nei citati popoli nordici, essa autorizzava chi era vittima di vergogna e non era vinto dalla colpa, cioè in caso di insensibilità –non infrequente- alla vendetta, che spesso consisteva nell’assassinio di chi aveva ricoperto di vergogna. Il ritorno di Ulisse ad Itaca ne è un esempio. Tale assassinio col tempo viene sostituito da una somma di danaro la poiné, in italiano “pena”. Ciò comporta anche la nascita di un processo, giudicato dagli anziani del villaggio, i gerontes[3]che emetteva una sentenza dikazon. Diritto vero e proprio in Grecia si sviluppa dopo le leggi di Dracone e si struttura in maniera organica, un diritto composito che ispirerà ma solo in linee generali anche i Romani, che si impadroniranno della zona napoletana definitivamente dopo le guerre puniche, grazie ad un coeso ed efficace sistema di alleanze. 
In epoca Romana sarà con Silla, nel 90 a.C. che la cittadinanza dell’Urbe sarà estesa su tutta la penisola. Precedentemente Roma si alleava con i vicini latini in una foedus e, successivamente, fuori dal territorio laziale, nacquero i Municipia, che detenevano la cittadinanza romana se appartenenti a municipes optimo iure, se invece municipes sine suffragium et iure honorum-, solo la cittadinanza, senza elettorato attivo o passivo e con una leggera autonomia amministrativa, vi erano infine i piccoli centri, le coloniae, istituiti con riti augurali[4]. In Napoli e provincia esistevano gli uni e gli altri.
Con l’avvento del principato si mantenne il sistema ma i municipia italici, che, a differenza delle province che si trovavano fuori la penisola, avevano ampia autonomia amministrativa. In principio[5] ciascun centro era una sorta di città stato era governato da magistrati cittadini duoviri o quattroviri, a seconda del numero, che eseguivano i decreta ordinis, ossia i deliberati dell’ordo decurionum.
Il sistema si complicò con la divisione dell’Italia in quattro Regioni ad opera di Augusto che favorì fenomeni devolutivi nella penisola.  Pur essendo[6] l’esercizio della giurisdizione civile e penale, e dunque anche le funzioni di polizia, demandate, entro certi limiti, agli amministratori locali nascono nuove figure regionale: il prefectus urbi ed il prefectus praetorio per la giurisdizione criminale, si aggiungono i curatores rei publicae, poi detti correctores, per il controllo tributario locale. [7]
Di queste figure, che ritorneranno in epoca postromana torneremo essendo punto focale di questo scritto il ruolo importantissimo svolto da funzionari e da loro attendenti nei rapporti centro-provincia per l’ordine pubblico.
Sempre sotto il dominio Romano si moltiplicarono i curatores vialis, addetti alla viabilità, una sorta di polizia stradale antelitteram, e ciò non stupisce data l’alta viabilità anche notturna per le vie Romane e quindi necessità di controllo non solo della corretta circolazione ma anche di prevenire ruberie con l’ausilio di fanti. Interessante a tal proposito è notare che proprio a Roma nasce la prima polizia in senso moderno, il corpo dei vigiles istituito nel 6 d.C. da Augusto, ma solo per la città di Roma, per assicurare la vigilanza notturna delle strade-affollatissime anche perché la posta viaggiava nottetempo e proteggere la città dagli incendi frequentissimi nelle insulae (condomini in legno). Sotto Settimio Severo vennero integrati nell'esercito,  7 coorti miliari, vale a dire 7000 uomini, militarizzate anch'esse e formate per lo più da liberticui. Il loro motto era Ubi dolor ibi vigiles (Dove c'è il dolore ci sono i vigili). Gerarchicamente comandati dal praefectus vigilum affiancato da un tribuno e sette centurioni per singola coorte.



[1] L’Antichità Vol IV; a cura di Umberto Eco, AAVV; EM Publischers s.r.l. Milano per Gruppo Editoriale l’Espresso; 2013; pp.364-365
[2] Ivi pag. 368
[3] Ivi pag.369
[4] Storia del Diritto Romano; a cura di Aldo Schiavone AAVV; Giappichelli editore; Torino;2001; pp. 57-58
[5] Ivi pag.108
[6] Ivi, pag. 109
[7] Ibidem