Capitolo I
Pizzofalcone, il Museo della Polizia di Stato, la “polizia”
napoletana Greca e Romana
Statua di Temi-dea della giustizia- presso l’ Università di Chuo in
Giappone
È noto che coloni greci si insediarono dapprima nell'isola di Ischia (IX
secolo a.C.), per trasferirsi poi a Cuma
e, solo nel VI secolo a.C., fondarono la città di Partenope sull'isola di
Megaride (ove ora sorge il Castel dell’Ovo) . Data la posizione geografica
invidiabile nel mare nostrum, era più che altro di uno scalo commerciale per
mantenere i contatti con la madre patria, che, in un secondo momento, si
espanse sul vicino Monte Echia (Pizzofalcone), assumendo la struttura di un
piccolo centro urbano.
E possiamo dire che proprio in Pizzofalcone nasce, dunque, il vero primo
insediamento “occidentale” di Napoli –tante saranno le civiltà anche
preistoriche, per non parlare dei Sanniti, etc.-
Nota anche col nome di Monte di Dio, fa parte del quartiere San
Ferdinando, situata fra il borgo Santa Lucia, il Chiatamone e Chiaia. Prima
fuori dall’urbe partenopea, e sede di parte del Castrum Lucullianum, poi
convento dei monaci basiliani, deve il suo nome alla caccia al falcone, che si
iniziò a tenere proprio su questa collina nel secondo lustro del Duecento. Fu
il Carlo I d'Angiò che decise di praticare in questa zona - quando la collina
non faceva parte del tessuto urbano- la
caccia al falcone, facendovi costruire una
falconiera per la real caccia di falconi.
Nel 1442 la zona Pizzofalcone era fuori le mura cittadine e Napoli fu assediata
da Alfonso V d'Aragona. Data l’asprosità della zona fu costruito un bastione per
supportare gli attacchi, che prese il nome di Fortelicio di Pizzofalcone, poi rimasto a protezione della città.
Nel 1509 la falconeria fu in parte abbattuta ed il territorio iniziò ad
urbanizzarsi, quando Andrea Carafa della Spina, conte di Santa Severina,
acquistò alcuni terreni del monastero dei Santi Pietro e Sebastiano per
edificarvi la propria villa. Al viceré Don Pedro de Toledo si deve
l'ampliamento cinquecentesco che, per la prima volta, inglobò all'interno delle
mura il monte Echia, ancora in epoca aragonese fortezza militare siti Perillos,
propaggine esterna della città.
Il posto di caccia voluto da Carlo I d'Angiò fu demolito definitivamente
per far posto a un carcere, che fu poi convertito in stabilimento militare. Nel
1651 il viceré Conte d'Oñate ordinò che vi si stanziassero le truppe spagnole
fino ad allora alloggiati nella zona a ridosso di via Toledo nei quartieri
spagnoli. Inizialmente i soldati vennero suddivisi tra Palazzo Carafa ed i suoi
giardini.
Solo tra il 1667 e il 1670 il viceré Pedro Antonio di Aragona fece
costruire, sulla superficie precedentemente occupata dai giardini, il Gran
Quartiere di Pizzofalcone, così da permettere un migliore sistemazione della
guarnigione spagnola. che nel XIX secolo era occupato dai Granatieri della
Guardia Reale. Nella stessa area insisteva il Reale officio topografico, in cui
venivano redatte le carte topografiche, geografiche e idrografiche del Regno
delle Due Sicilie. L'edificio era provvisto di una specola per le osservazioni
astronomiche in funzione delle rilevazioni geodetiche.
Tale zona, detta Gran Quartiere di
Pizzofalcone o Presidio di Pizzofalcone, oggi si chiama caserma Nino Bixio è un edificio militare sito
a Napoli, all'apice di via Monte di Dio, sulla collina di Pizzofalcone, nel
quartiere San Ferdinando. Oggi esso è sede del IV Reparto Mobile di Napoli.
L'edificio, infatti, non ha mai variato la propria destinazione d'uso di
carattere militare. Dopo avere ospitato per secoli reparti della guarnigione
dell'Armata napoletana e la Real Accademia Militare della Nunziatella,
costituita il 18 novembre 1787, subito dopo l'Unità d'Italia ospitò il 1º
Reggimento bersaglieri "Napoli". Contestualmente fu dedicato a Nino
Bixio. Dopo la seconda guerra mondiale divenne caserma della Polizia di Stato,
adibita ad ospitare il IX Reparto mobile di Napoli, dal 1971 denominato IV
Reparto Celere delle guardie di pubblica sicurezza fino a diventare il IV
Reparto mobile della Polizia di Stato di Napoli.
Inaugurazione del museo, 22 giugno 2015
Il Reparto Mobile di Napoli è sede anche del Museo della Memoria della
Polizia di Stato, alloggiato presso l’ Aula Claudio Graziosi.
Inaugurato il 22 luglio del 2015, in seno alla sezione napoletana dell’
Anps, diretta dal Presidente Commissario r.d.s. in quiescenza Luigi Gallo.
Essa avrà la funzione di manutenzione, custodia e gestione di un piccolo
museo della Polizia di Stato, ove saranno esposti mezzi e strumenti utilizzati
in passato dalla forza di polizia nonché una collezione privata ad opera del
Collaboratore Tecnico Capo della P.S. Marinaro Ezio, con modelli in scala degli
automezzi in uso alla polizia a partire dal ‘900 e sino ai giorni nostri.
L’ubicazione sarà l’Aula Graziosi, intitolata alla guardia di P.S. Claudio Grazioli,
insignito della medaglia d’oro al valor civile, il quale il 27 marzo del 1977
perdeva la vita eroicamente perché, fuori dal servizio, aveva riconosciuto e
bloccato su di un autobus la terrorista Maria Pia Vianale. La predetta aula già
nel ’91 fu destinata a sala lettura, divenendo idoneo spazio di studio presso
il Reparto per il personale ivi alloggiato. Successivamente utilizzata per
cerimonie e riunioni a carattere istituzionale.
Il museo fonda la sua ragion d’essere sul senso di appartenenza, sullo
spirito di gruppo e sulla memoria, tre pilastri su cui poggia.
Quale delegato responsabile del Gruppo è stato proposto il Maresciallo
della Polizia di Stato in quiescenza Pisacane Francesco, Cavaliere della
Repubblica, membro più anziano del Reparto (nella foto) e con un indiscusso valore carismatico e di
rappresentanza di generazioni di poliziotti avvicendati in tale sede.
Attraverso il museo della memoria della Polizia di Stato vuole
perseguirsi lo scopo di realizzare a pieno gli obbiettivi fondanti dell’Anps,
ossia custodire la memoria del passato attraverso immagini attuali e foto
d’epoca, in modo da trasmettere alle future generazioni, attraverso un percorso
storico, i valori fondanti della Polizia di Stato.
Sovrintendente capo Francesco Pisacane, “il maresciallo Pisacane”,
delegato dall’Anps Napoli come responsabile del museo. È il membro più anziano
della associazione
Vero è che il museo raccoglie e conserva
cimeli e riproduzioni riguardanti la Polizia di Stato dalla sua
fondazione, ossia con R.D. 30 del 1848, seguito dal 1404 del 1852, istitutivi
il primo della Amministrazione di Sicurezza, il secondo del Corpo delle Guardie
di Pubblica Sicurezza, corpi nati dunque nel savoiardo Regno di Sardegna ma
poi, a seguito del 1960-1961 estesi gradualmente a tutta l’Italia. Parleremo di
questo nel presente opuscolo, costernandolo, ove possibile, con efficaci
immagini.
Purtuttavia una premessa non troppo corposa va fatta, ed è uno dei motivi
della redazione del presente scritto, analizzare, seppur sommariamente, la
situazione della polizia a Napoli in epoca preunitaria, dalla preistoria ai
greco-romani, al ducato di Napoli, al dominio Angioino, Aragonese, Borbonico,
alla pausa Francese, al ritorno breve Borbonico sino all’Unità Nazionale.
Durante l’epoca Greca, che affonda nella notte dei tempi con figure
leggendarie quali il mito della sirena Partenope, sappiamo che intorno al XII
secolo i primi coloni si insediano ad Ischia e quasi contemporaneamente a Cuma. Come era amministrata la “polizia” all’epoca,
vale a dire in età preistorica o quando comunque la vita era scandita da ritmi
tribali. La curiosità è che la attività di polizia era strettamente legata alla
medicina e dunque il “capo della polizia”non era il capo del villaggio, che
aveva sotto di sé l’esercito, ma lo sciamano che curava. E non vi era una netta
separazione tra malattia e crimine, tra malanno e colpa. Era lo sciamano che
aveva il compito di restaurare l’ordine in una società, in una comunità, quando
esso si infrangeva e non poteva no farlo che con la ritualità. Ricordiamo che
anche in epoca Greco-Romana era usanza dei cavalieri, prima di affrontare un
combattimento, rivolgersi ai saceerdoti. Sempre era ed è presente un ordine
sacro che non può infrangersi, un sacro equilibrio tra le cose e chi esce fuori
da questo equilibrio deve ritornare all’armonia per sé, per la comunità, per il
cosmo. Diremmo noi, oggi, va rieducato.
Nel 476 a. C. la Grecia inizia ad insediarsi a Cuma, conquistatala si insediano
più ad oriente della vecchia Partenope e chiamano la loro citta “nuova città”,
Neapolis appunto. I primi rapporti tra Roma e Neapolis furono improntati
all'amicizia e al tentativo di stipulare accordi, ma, sotto le pressioni delle
altre colonie, Neapolis fu poi spinta a rifiutare collaborazioni coi romani;
questo portò nel 326 a.C. ad un conflitto armato che, nonostante l'alleanza dei
partenopei con sanniti e nolani, si concluse con la vittoria del console
romano.
La pace non fu tuttavia disonorevole: fu creata una confederazione con
Roma, e la città poté mantenere le proprie prerogative e istituzioni,
rivelandosi nel seguito una fedele alleata del sempre più potente vicino.
Del resto, Neapolis era per Roma un importante veicolo della cultura e della
civiltà greca, un vero e proprio punto di raccordo, oltre che una serena zona
di villeggiatura per i patrizi, vi sostava Virgilio, vi morì Ottaviano, primo
imperatore Romano, fu costruita Puteoli- Pompei, Ercolano, lo splendido Castrum Lucullianum che si
estendeva da Pozzuoli a Megarite, la villa a Giugliano di Scipione
l’Africano, la residenza dove alloggiava Tiberio a Capri e via discorrendo(ove
si dice fosse stato assassinato Romolo Augustolo, ultimo imperatore Romano).
Quale giustizia in quel periodo e quale “polizia”. Abbiamo accennato di
civiltà preistoriche, italioti, altri indigeni, Sanniti, ove la figura del
sacerdote era centrale –e stesso può dirsi per l’epoca Romana, sia in età
arcaica delle XII legge e sia in età Repubblicana, essendo i magistrati di
quest’ultima cos’altro se non sacerdoti potremmo dire “civili” ad ognuno dei
quali spetta una funzione di governo-. Venendo ai Greci sappiamo che sin da
prima che esistesse uno Stato organizzato si seguivano riti similtribali detti
della “cultura omerica”
che
si basava sulla
timé, ossia
sull’onore e prevedeva la “cultura della vergogna”, non essendovi punizioni per
le regole c’era questo
shame forse
meglio traducibile con
guilt, ovverossia
colpa.
Non esistono regole, che le viola rompe il patto sociale e la sua colpa è
grande e sentita perché, giova rifletterci, gravi e sentiti sono i valori
violati. Tali culture sono molto sviluppate nelle piccole tribù che si fondano
sul rispetto reciproco e sulla stima, come una sorta di associazioni o club,
ove scopo del malfattore di turno non è farla franca ma vergognarsi, sentirsi
in colpa. Tipico anche delle culture Longobarde e Normanne per certi versi. La
violazione di una norma era, potremmo sottolineare, violazione verso l’altro,
verso la comunità ma soprattutto verso il cosmo, l’armonia ed il suo ordine.
Non esisteva un foro interno. Il reo era reo e si sentiva in colpa per essere
reo, non vi era dunque necessità di indagini giudiziario-poliziesche perché lui
stesso confessava un peso insopprimibile. Il concetto di pena
nasce dall’altro aspetto del diritto
omerico, la vendetta, anche questa diffusa nei citati popoli nordici, essa
autorizzava chi era vittima di vergogna e non era vinto dalla colpa, cioè in
caso di insensibilità –non infrequente- alla vendetta, che spesso consisteva
nell’assassinio di chi aveva ricoperto di vergogna. Il ritorno di Ulisse ad
Itaca ne è un esempio. Tale assassinio col tempo viene sostituito da una somma
di danaro la
poiné, in italiano
“pena”
. Ciò comporta anche la nascita
di un processo, giudicato dagli anziani del villaggio, i
gerontesche
emetteva una sentenza
dikazon. Diritto
vero e proprio in Grecia si sviluppa dopo le leggi di Dracone e si struttura in
maniera organica, un diritto composito che ispirerà ma solo in linee generali
anche i Romani, che si impadroniranno della zona napoletana definitivamente
dopo le guerre puniche, grazie ad un coeso ed efficace sistema di alleanze.
In epoca Romana sarà con Silla, nel 90 a.C. che la cittadinanza dell’Urbe
sarà estesa su tutta la penisola. Precedentemente Roma si alleava con i vicini
latini in una
foedus e,
successivamente, fuori dal territorio laziale, nacquero i Municipia, che
detenevano la cittadinanza romana se appartenenti a
municipes optimo iure, se invece
municipes sine suffragium et iure honorum-, solo la cittadinanza,
senza elettorato attivo o passivo e con una leggera autonomia amministrativa,
vi erano infine i piccoli centri, le c
oloniae,
istituiti con riti augurali
.
In Napoli e provincia esistevano gli uni e gli altri.
Con l’avvento del principato si mantenne il sistema ma i
municipia italici, che, a differenza
delle province che si trovavano fuori la penisola, avevano ampia autonomia
amministrativa. In principio
ciascun centro era una sorta di città stato era governato da magistrati
cittadini
duoviri o
quattroviri, a seconda del numero, che
eseguivano i
decreta ordinis, ossia i
deliberati
dell’ordo decurionum.
Il sistema si complicò con la divisione dell’Italia in quattro Regioni ad
opera di Augusto che favorì fenomeni devolutivi nella penisola.
Pur essendo
l’esercizio della giurisdizione civile
e penale, e dunque anche le funzioni di polizia, demandate, entro certi limiti,
agli amministratori locali nascono nuove figure regionale: il
prefectus urbi ed il
prefectus praetorio per la giurisdizione
criminale, si aggiungono i curatores rei publicae, poi detti correctores, per
il controllo tributario locale.
Di queste figure, che ritorneranno in epoca postromana torneremo essendo
punto focale di questo scritto il ruolo importantissimo svolto da funzionari e
da loro attendenti nei rapporti centro-provincia per l’ordine pubblico.
Sempre sotto il dominio Romano si moltiplicarono i curatores vialis, addetti alla viabilità, una sorta di polizia
stradale antelitteram, e ciò non stupisce data l’alta viabilità anche notturna
per le vie Romane e quindi necessità di controllo non solo della corretta
circolazione ma anche di prevenire ruberie con l’ausilio di fanti. Interessante
a tal proposito è notare che proprio a Roma nasce la prima polizia in senso
moderno, il corpo dei vigiles istituito
nel 6 d.C. da Augusto, ma solo per la città di Roma, per assicurare la
vigilanza notturna delle strade-affollatissime anche perché la posta viaggiava
nottetempo e proteggere la città dagli incendi frequentissimi nelle insulae (condomini in legno). Sotto
Settimio Severo vennero integrati nell'esercito, 7 coorti miliari, vale a dire 7000 uomini,
militarizzate anch'esse e formate per lo più da liberticui. Il loro motto era Ubi
dolor ibi vigiles (Dove c'è il dolore ci sono i vigili). Gerarchicamente
comandati dal praefectus vigilum
affiancato da un tribuno e sette centurioni per singola coorte.